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Fedez no grazie

Mag 4, 2021

Ne abbiam visti geni e maghi uscire a frotte / per scomparire”, cantava Francesco Guccini, non un rapper. Aggiungendo sconsolato che noi, “se si muore solo un po’, / chi se ne fotte”. Chi se ne fotte della legge Zan, chi se ne fotte del primo maggio e persino della libertà di straparlare. L’unica cosa che fotte, è che non si sentiva la mancanza politica di quest’ultimo genio: Fedez, il populista che voleva aprire la Rai come un pacco di Amazon.

 

Federico Leonardo Lucia  in arte Fedez, rapper, più noto come consorte di Chiara Ferragni, è con ogni evidenza l’anello debole della catena alimentare di famiglia: quella che mette le idee e fattura è per forza lei. Infatti si tiene a debita distanza dalle eruttazioni politiche di lui. Il che non vuol dire che non la pensi uguale, ad esempio sulla legge Zan. Ma appunto, lei forse lo capisce: a chi dovrebbe fottere, in un paese normale, di quel che pensano i Ferragnez? Da un tot di tempo hanno mostrato l’intelligenza di cambiare stile e merceologia, sono passati alla promozione delle idee e delle buone cause. Sono risultati simpatici persino a me. Il problema è quando Fedez decide di saltare un’asticella troppo alta, e passare dai social alla politica senza mediazione, senza soluzione di continuità: la via del peggior populismo.

 

 

Senza mediazione non significa, ovviamente, che per fare politica sia necessario passare da SciencePo (quella è una cosa che tende a rendere noiosi). Però, se vuoi fare politica smetti di fare l’artista (“io sono un’artista, salgo sul palco e dico quello che voglio”, ha espettorato in un video, sfoggiando un italiano da ripetente dell’istituto d’arte) e fondi un partito (certo, lo ha ricordato Antonio Polito sul Corriere di ieri: “Da quando Piero Fassino sfidò Grillo a farsi un suo partito ‘così vediamo quanti voti prende’, l’argomento non è più utilizzabile”). Ma pretendere di entrare nell’agone pubblico e discettare di leggi e del corretto funzionamento del Senato, o di cosa il servizio pubblico debba o non debba mandare in onda senza aver letto manco un manuale di istruzioni, è irricevibile. E’ fuffa, abbiamo già dato. Si può anche rigettare come un’insinuazione che Fedez stia pensando di trasformare “i follower in voti”. Diciamo che è in buonafede (ma la buonafede, come insegnano i saggi, è l’altra faccia di medaglia della cattiva coscienza). Però Fedez è pur sempre quello che fece l’introduzione a un libro di Casaleggio, e la provvista di buonafede si esaurisce qui. Il problema vero sono tutti gli altri, a partire dai politici, sono loro a credere fermamente che “i follower siano voti”.

 

Così lo storytelling dei Ferragnez che si fanno politici era iniziato come una boutade, un fenomeno di costume, una cosa allegra. E lì dovrebbe fermarsi, non fossimo un paese che nemmeno la pandemia ha vaccinato da geni e maghi apparsi a frotte. Che cosa pensi Fedez della legge Zan, o di Salvini, e persino del “sistema della Rai” non dovrebbe interessare nessun dirigente della Rai, nessun politico, nessun editorialista e, in definitiva, nessun cittadino informato. Come non avrebbero dovuto interessare a nessuno, troppi anni fa, le scemenze di Beppe Grillo che voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, o i populisti dell’altra sponda ma di identica natura: quelli che volevano i pieni poteri per uscire dall’Europa. Il populismo, d’ambo i generi come direbbe Zan, ha già fatto danni inenarrabili. Del rapper che crede di poter sfondare la democrazia come si apre un pacco di Amazon, ne facciamo a meno.

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