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False buste paga, da luglio stop agli stipendi in contanti

Mar 31, 2018

MILANO – Nei cantieri dell’edilizia, nei campi da coltivare, ma anche negli alberghi e ristoranti, nel facchinaggio o nelle cooperative spurie, c’è un esercito inquantificabile di lavoratori che subisce un sottile ricatto da parte dei datori di lavoro: firmare una busta paga per un determinato importo, mettiamo mille euro, ma accontentarsi di riceverne di meno dietro la minaccia di perdere il posto.

E’ una delle tante distorsioni/estorsioni del rapporto di lavoro, finalizzate ad abbattere illegalmente i costi. Le forme – che sindacati, inquirenti e giudici conoscono molto bene – sono svariate. Secondo Censis-Confcooperative, i lavoratori vessati sono 3,3 milioni e nel cono d’ombra del sommerso il loro salario medio scende da 16 a 8 euro l’ora. Alcuni taroccano le buste paga spostando le voci laddove vengono detassate o sfuggono alla contribuzione. Come? Facendo ad esempio figurare le ore lavorate come trasferte, gli straordinari come premi individuali o diaria, come ha testimoniato un recente rapporto della Fondazione Mario Del Monte e Legacoop Estense sulle cooperative spurie. Laddove il pagamento degli stipendi avviene in contante, è più facile che il datore di lavoro in malafede riesca a mettere in atto quel ricatto sopra descritto.

Dal prossimo 1° luglio, in teoria dovrebbe essere un po’ più complicato. Una norma contenuta nella legge di Bilancio – che ricalca una legge proposta da Titti di Salvo già anni fa – decreta lo stop al pagamento degli stipendi via contanti. I mezzi ammessi per remunerare il lavoratore saranno soltanto un bonifico; gli strumenti di pagamento elettronico; i contanti, ma solo passando attraverso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria, con mandato di pagamento; un assegno consegnato direttamente al lavoratore. In questo modo sarà garantita la tracciabilità del flusso di denaro.

Nella legge originaria si prevede che al momento dell’apertura del contratto il datore di lavoro comunichi al Centro per l’impiego la modalità attraverso la quale corrisponderà il compenso. Esclusi dalla norma – che riguarda subordinati, cococo e lavoratori delle cooperative – sono la Pa e colf o badanti che lavorino almeno quattro ore al giorno per lo stesso datore. Infine, come già avevano stabilito alcune sentenze dei Tribunali, non si considera più la firma della busta paga come una prova sufficiente dell’avvenuto pagamento delle prestazioni.

All’Ispettorato del lavoro credono che la misura possa essere un buon deterrente, anche se è impossibile quantificare il fenomeno – almeno finché non partiranno le prime sanzioni, che andranno da mille a cinquemila euro. La sensazione diffusa è che sia una piaga che colpisce di più la “bassa manovalanza”, le persone più ricattabili dove ha attecchito il caporalato. Proprio per questo, una informazione semplice e preventiva sarebbe auspicabile per sensibilizzare e preparare i destinatari della misura, anche perché è probabilmente più alta l’incidenza di lavoratori non ancora dotati di strumenti bancari in quelle fasce di popolazione.

Il testo dispone infatti che il Governo si attivi con i sindacati, Confindustria, le banche (Abi) e le Poste perché si scriva una Convenzione per “individuare gli strumenti di comunicazione idonei a promuovere la conoscenza e la corretta attuazione” delle norme. In teoria, ci sarebbero stati tre mesi di tempo che sono terminati con marzo. Basta però fare un giro di domande ai soggetti che dovrebbero sedersi intorno al tavolo per avere l’impressione che finora nessun input sia arrivato da Palazzo Chigi, dove le priorità in questi mesi sono state sconvolte dall’evoluzione politica.

Un altro timore riguarda la capacità delle aziende in malafede di aggirare l’ostacolo. Già è prassi diffusa in alcuni settori di corrispondere il giusto stipendio, salvo poi chiederne la restituzione di una parte. Casi di cronaca come quello di Paola Clemente, la bracciante morta in Puglia per due euro all’ora, o la più recente vicenda dell’albergatore siciliano candidato all’Ars, mostrano come la lotta all’illegalità e per la dignità del lavoro (e la sua giusta retribuzione) è appena iniziata.

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