AGI – Facebook, la piattaforma di social network controllata da Meta, ha annunciato di voler implementare la crittografia end-to-end come modalità predefinita anche su Messenger (su WhatsApp già lo è, su Instagram è in fase di test), servizio di messaggistica istantanea di proprietà della stessa società di Mark Zuckerberg: i test sarebbero già in fase avanzata.
Oltre a ciò, fa sapere la società, “stiamo testando l’archiviazione sicura per eseguire il backup di quei messaggi nel caso in cui perdessi il telefono o desideri ripristinare la cronologia dei messaggi su un nuovo dispositivo supportato. Come per le chat crittografate end-to-end, l’archiviazione sicura significa che non avremo accesso ai tuoi messaggi, a meno che tu non scelga di segnalarceli“.
Altre nuove funzionalità in fase di test su Messenger includono la sincronizzazione dei messaggi eliminati su tutti i dispositivi, la possibilità di annullare l’invio di messaggi e anche l’aggiunta della crittografia ai messaggi in vivavoce inviati su Messenger, utilizzando gli occhiali intelligenti dell’azienda.
A oggi Facebook offre agli utenti di Messenger la possibilità di attivare la modalità delle chat crittografate, ma pochi la utilizzano. Rendere la crittografia end-to-end predefinita vuol dire un un livello di sicurezza in più per una piattaforma di messaggistica utilizzata da oltre un miliardo di persone in tutto il mondo. Ma è anche una soluzione che con tutta probabilità farà discutere.
La crittografia end-to-end infatti è strutturata in modo che Facebook non possa visualizzare il contenuto dei messaggi dei suoi utenti, solo i partecipanti possono farlo. Ciò rende più difficile (ma non impossibile) per terze parti come hacker o forze dell’ordine curiosare nelle conversazioni digitali. Quindi la crittografia end-to-end rende più difficoltose le indagini, può essere di ostacolo alla capacità degli investigatori di combattere la criminalità. Ma offre anche più garanzie in fatto di privacy.
Il caso del Nebraska
Proprio questa settimana è emerso da documenti giudiziari depositati a giugno e resi pubblici martedì che Facebook ha rispettato un mandato di perquisizione della polizia e ha consegnato la cronologia della chat di Messenger di un’adolescente del Nebraska e di sua madre, accusate di aver violato la normativa statale sull’aborto.
La richiesta della polizia è arrivata a Menlo Park a giugno, addirittura prima che la Corte Suprema si pronunciasse, ribaltando la sentenza Roe v Wade. Ora, senza la “copertura” della Roe v Wade, il caso ripropone con ancora più forza la preoccupazione su come i dati degli utenti archiviati dalle società tecnologiche potrebbero essere utilizzati contro le persone che cercano di abortire.
Nel dettaglio gli investigatori hanno richiesto a Facebook informazioni dettagliate sulla ragazza, tra cui “informazioni di contatto del profilo, post in bacheca e elenco di amici , con ID Facebook”. Le autorità hanno anche richiesto tutte le foto caricate dalla giovane, quelle in cui è stata taggata e i suoi messaggi privati da aprile al giorno in cui è stato emesso il mandato.
Al momento non è chiara però la portata dei dati utente che Facebook ha consegnato. La società ha dichiarato che i mandati ricevuti all’inizio di giugno non menzionavano un aborto, ma si riferivano a un’indagine della polizia su un bambino nato morto.