Il mercato dei dati
Questa settimana Mark Zuckerberg, fondatore e AD Facebook, è stato chiamato a testimoniare di fronte ai parlamentari USA per dare spiegazioni riguardo la vicenda di Cambridge Analytica. Una testimonianza che è stata imbarazzante su entrambi i fronti: da una parte Zuckerberg non è riuscito a dare risposte davvero convincenti, e dall’altra molti politici davano l’impressione di non avere idea di cosa parlassero.
Tra non risposte e non domande, dunque, la questione resta aperta. I colossi del web (Facebook, Google, Amazon e altri) raccolgono i nostri dati e li usano in modi relativamente insondabili. Non solo internamente: a volte – il caso di CA è emblematico – i dati arrivano nelle mani anche di aziende esterne, che li manipolano come meglio credono.
Da una parte tutti noi dovremmo essere più consapevoli, e questo tema è ricorrente in migliaia di commenti e articoli: quando usiamo Facebook autorizziamo l’uso dei dati, non dovremmo stupirci se poi li usano davvero. Dall’altra però questo non è vero: buona parte dei consumatori non ha tale consapevolezza, e non tutti sono obbligati a diventare degli esperti solo perché vogliono usare Facebook. Inoltre anche tra gli esperti si fatica a trovare qualcuno che sappia dire con precisione quali dati vengono raccolti, quali e a che scopo.
Facebook è molto costoso in termini di perdita della privacy e di denaro speso per sottrarre tale privacy. È lo strumento perfetto per i marketer, un paradiso generato dagli utenti che è ora amministrato dai demoni”.
John Biggs – Techcrunch
Il problema non ha una soluzione facile: le aziende hanno bisogno dei dati, e questo li rende la valuta principe di tutto questo discorso. Se i dati sono la valuta, in un certo senso l’utente (noi) è una merce. Possiamo evitare di essere mercificati in questo modo? Certo: basta rinunciare a certi servizi o pagare per essi. In generale i servizi a pagamento sono infatti un po’ meno invasivi dal punto di vista della privacy. Si tratta di “monetizzare gli occhi”, come ho avuto modo di scrivere qualche giorno fa.
Oppure possiamo tranquillamente cedere informazioni in cambio di servizi. L’importante sarebbe comprendere che Facebook, Gmail e così via non sono veramente gratuiti. O meglio, sono gratis finché consideriamo il denaro vero e proprio, ma se aggiungiamo anche la “valuta dati”, allora non più.
Stiamo solo iniziando a capire in che modo usano i nostri dati senza il nostro consenso o senza che lo sappiamo, a spesa della nostra privacy e, a volte, delle nostre democrazie. In un’epoca in cui chiamiamo i dati “petrolio digitale”, la centralizzazione dell’accesso ai dati porta con è minacce significative. Meritiamo risposte alle domande: chi ha controllo sui nostri dati? Chi ha accesso ai nostri dati? Come vengono usati i nostri dati? Ci serve una vera soluzione per la privacy e la sicurezza dei dati.