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Ex Ilva, le imprese dell’indotto minacciano di bloccare le merci

Nov 24, 2019

Confindustria Taranto: basta bugie, indotto non pagato

Le «150 aziende dell’indotto» ha rimarcato da parte sua il presidente di Confindustria Taranto, Antonio Marinaro, «oggi non sono nelle condizioni di pagare gli stipendi» ai loro 6mila dipendenti. Questo, ha sperigato, perché «l’indotto, per una trattativa in corso tra ArcelorMittal e Governo, sta diventando l’elemento di ricatto. In questi giorni si è detto di tutto, ma posso dire con certezza che le aziende dell’indotto non sono state pagate da ArcelorMittal, per cui ancora oggi soffrono e patiscono di una ottemperanza contrattuale da parte della multinazionale».


“Si tratta di imprese – ha aggiunto il presidente di Confindustria Taranto – che hanno sempre garantito i servizi, anche dopo i sequestri dal 2012 ad

oggi, passando dal 2015, quando – ha ricordato Marinaro – le aziende dell’indotto hanno lasciato 150 milioni al governo. E ora rischiano altri 60 milioni di euro di corrente. Per loro in questo modo non c’è futuro. Al tavolo con le istituzioni non abbiamo ragionato sul futuro, per noi la precondizione essenziale per ritornare a guardare il futuro è quella di

mettere in sicurezza i 60 milioni di euro che oggi mancano alla fluidità di cassa dell’indotto»

L’ipotesi di anticipazione dei fondi dalla Regione

Lo stesso Emiliano ha spiegato che «già molte aziende dell’indotto rischiano di avere i documenti relativi alla bancabilità in disordine. Il che renderebbe complicata quella operazione che stiamo approfondendo di anticipare da parte della Regione i pagamenti. Questa operazione ha bisogno di un meccanismo contabile fondato su una garanzia che prevede che le aziende abbiano i requisiti perfetti di bancabilità. Se il tempo passa e nessuno li paga rischiano di perderli». Queste imprese, ha ricordato ancora Marinaro, «hanno sempre garantito i servizi, anche dopo i sequestri dal 2012 ad oggi, passando dal 2015, quando le aziende dell’indotto hanno lasciato 150 milioni al governo. E ora rischiano altri 60 milioni di euro di corrente».

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