L’ombra del protezionismo commerciale si allunga sull’economia globale, con la politica dei dazi promossa dall’amministrazione Trump, negli States, che ha innescato una serie di reazioni a catena potenzialmente dannose per i mercati internazionali. L’Italia, intrinsecamente legata al contesto economico europeo e globale, si trova adesso a fronteggiare lo spettro di rincari generalizzati e ripercussioni negative su settori chiave, in un clima di crescente incertezza e preoccupazione. Le possibili contromisure da parte dei paesi colpiti dai dazi statunitensi, in particolare quelle ipotizzate dall’Unione Europea, rischiano di innescare un circolo vizioso di barriere commerciali e tariffe punitive, con effetti diretti sui consumatori italiani e sulla competitività delle imprese nazionali.
Dazi: rischi per il settore automotive
Uno dei settori più esposti a questo rischio è senza dubbio quello automobilistico. Federcarrozzieri lancia un allarme preciso: i prezzi delle auto nuove potrebbero subire un incremento medio compreso tra i 2.500 e i 3.000 euro a causa dei dazi. Questa crescita, apparentemente contenuta, potrebbe in realtà rappresentare la punta dell’iceberg di una crisi ben più profonda.
Il settore automotive, caratterizzato da catene di approvvigionamento globali e da una forte interdipendenza tra i mercati, rischia di essere travolto da un vero e proprio effetto domino. Anche se temporaneamente sospesi, i dazi varati dagli Stati Uniti potrebbero innescare una spirale negativa, con pesanti “mancati profitti e perdite economiche” per tutte le Case automobilistiche coinvolte.
La produzione globalizzata
La globalizzazione ha reso i brand delle multinazionali, con siti produttivi dislocati in diversi Paesi per ottimizzare i costi e sfruttare le opportunità offerte dai singoli mercati. Molti marchi producono automobili sia negli Stati Uniti che in paesi come il Messico, il Canada e diversi Stati europei. Volkswagen, Audi, BMW, Stellantis, Honda, Hyundai, Kia, Mazda, Toyota e Nissan sono solo alcuni dei nomi coinvolti in questa rete intricata di produzione e distribuzione.
Il Messico, in particolare, riveste un ruolo cruciale come polo produttivo per il mercato nordamericano. Ogni anno, dal Paese centroamericano escono circa 3,5 milioni di autovetture, molte delle quali destinate agli Stati Uniti. Qui vengono assemblate innumerevoli auto che il Gruppo Volkswagen vende negli USA (il 44% delle vendite totali nel 2024), e il secondo mercato per i veicoli Stellantis in Nord-Centro America (40% tra Canada e Messico). Lo stesso dicasi per Nissan (31%), Mazda (23%) e Honda (13%).
Calerà la produzione secondo gli analisti
Gli analisti, tenendo conto del numero significativo di vetture vendute annualmente negli Stati Uniti dai singoli marchi, prevedono una riduzione media degli utili per le case automobilistiche compresa tra il -5% e il -15%. Questa contrazione dei profitti si tradurrebbe inevitabilmente in un aumento dei prezzi al dettaglio, con ripercussioni dirette sui consumatori. L’aumento dei costi di produzione, dovuto ai dazi sull’importazione di componenti e materie prime, verrebbe infatti scaricato sui clienti finali, rendendo l’acquisto di un’auto nuova un investimento ancora più oneroso.
Ma il settore automobilistico non è l’unico a rischio. Il Codacons, associazione italiana a difesa dei consumatori, mette in guardia contro il pericolo di una “raffica di rincari” che potrebbe colpire una vasta gamma di prodotti e servizi. Il Belpaese, infatti, importa annualmente dagli Stati Uniti beni per un valore complessivo di circa 25,2 miliardi di euro. Qualora l’Unione Europea decidesse di varare dei controdazi in risposta alle misure protezionistiche americane, i consumatori italiani si troverebbero a dover pagare un prezzo salato.