La riproduzione di qualunque essere vivente richiede energia di buona qualità, impiegata per vincere la tendenza disgregatrice del secondo principio della termodinamica, che si oppone alla costruzione di strutture ordinate e complesse a partire da costituenti elementari. Una decina di anni fa, un giovane ricercatore del MIT, Jeremy England, è riuscito ad esaminare nel dettaglio qual è il limite invalicabile posto dalla termodinamica alla velocità con cui è possibile per un organismo formare una sua copia attraverso il processo riproduttivo, rispetto alla velocità con cui sopravviene la morte. Grazie all’equazione che ha trovato, l’efficienza massima possibile per la riproduzione di un dato tipo di essere vivente rispetto al tasso con cui gli individui di quel tipo periscono può essere esaminata in termini del costo energetico di un nuovo esemplare, pagato attraverso la dissipazione nell’ambiente esterno di energia in quantità tanto più elevata, quanto più complessa è la struttura da riprodurre, con interessanti conseguenze che ho discusso recentemente. Questo costo del processo riproduttivo è il costo diretto per la creazione della progenie fino al momento della nascita, e consiste nell’energia necessaria per l’assemblaggio dei corpi della prole e del nutrimento necessario a sostenerli fino al loro rilascio nell’ambiente esterno.
Tuttavia, a fianco dell’energia richiesta per i processi suddetti, vi sono i cosiddetti costi riproduttivi indiretti – il carico metabolico della gravidanza e delle eventuali cure parentali prenatali. Una nuova ricerca, appena pubblicata su Science, rivela che questi costi indiretti possono essere di un ordine di grandezza superiori a quelli diretti, e naturalmente aumentano con l’aumentare della complessità e la lunghezza del processo di gestazione. Nei mammiferi, in particolare, il 10% circa dell’energia utilizzata per la riproduzione rappresenta il costo diretto, mentre il 90% viene speso nei processi metabolici che servono a sostenere gli adattamenti fisiologici necessari al corpo della madre per sostenere la gestazione. Gli esseri umani, con le loro gravidanze prolungate, hanno alcuni dei costi indiretti più elevati, che raggiungono circa il 96% del totale.
Attraverso la comparazione dei costi riproduttivi, passando da animali microscopici – i rotiferi – attraverso un’ottantina di tipi molto diversi, fino all’uomo, la frazione di energia spesa nei costi indiretti aumenta in modo esponenziale, ed è quella che, a parità di massa organica, domina la crescita complessiva dell’investimento energetico richiesto, molto più che non il costo di costruire un organismo via via più complicato. Le conseguenze di questo risultato si rilevano innanzitutto dal punto di vista evoluzionistico.
Innanzitutto, è immediato osservare come la diminuzione del numero di individui messi al mondo in ciascun atto riproduttivo segue l’andamento dei costi indiretti del processo di gestazione, molto più che non quello della costruzione di ciascun nuovo individuo; questo, spiega, ad esempio, la differenza di numerosità media della prole in animali di complessità simile, come ad esempio un lupo e un essere umano. Ai fini della fioritura di una specie, naturalmente, la fertilità minore può essere bilanciata da un forte investimento parentale, che aumenti di molto le probabilità di sopravvivenza della prole fino all’età riproduttiva: il che è precisamente quanto si osserva. Questo, però, carica di un ulteriore, pesante dispendio energetico i genitori, il che limita tale strategia esclusivamente a quelle specie di particolare successo nel reperire le risorse necessarie e/o a quelle che vivono in condizione di estrema abbondanza di risorse trofiche.
Allo stesso tempo, per gli animali a sessi separati, più aumentano i costi di gestazione, maggiore è la differenza di ripartizione fra i costi energetici (a sfavore della madre), maggiore è la potenziale disparità nelle forme e nelle strategie di investimento parentale e di comportamento parentale; e anche questa è una predizione facilmente confermata dall’osservazione comparata di specie a bassi costi gestazionali, per esempio scelta fra gli insetti non sociali, e specie come la nostra.
Questi e altre interessanti deduzioni che si possono fare a partire dai risultati appena ottenuti ci guidano nella comprensione di un concetto semplice, troppe volte trascurato: per quanto possa sembrare strano, considerazioni termodinamiche di base, attraverso i loro effetti sulla fitness di una specie, guidano l’evoluzione degli esseri viventi, influenzano il loro comportamenti e predicono tendenze generali, senza ricorrere a giustificazioni finalistiche o a elaborate teorie ad hoc.