ROMA. Il deficit-Pil arriverà al 2,3 per cento, la crescita sarà fissata all’1 per cento, il debito si assesterà al 131 per cento del Pil. Il terno di numeri messo a punto faticosamente nelle ultime ore è pronto: le cifre stanno in una tabella sul tavolo di Matteo Renzi. Sono momenti frenetici di un week end di lavoro, che vedono il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, in stretto contatto telefonico con i tecnici e con i Commissari di Bruxelles, per mettere a punto, in vista del varo di domani da parte del Consiglio dei ministri, la nota di aggiornamento al Def, il Documento di economia e finanza, uno snodo cruciale per la definizione della prossima legge di bilancio. Dunque per le tasche degli italiani.
La terza “sessione di bilancio” di Renzi si apre in un clima surriscaldato di forte polemica con i partner europei, Germania e Francia, e in un quadro in cui l’economia internazionale sta rallentando con inevitabili contraccolpi sul nostro paese dove la ripresa stenta a decollare. “Poche risorse”, ha ammonito Padoan che vuole concentrarle tutte su investimenti e occupazione.
La sfida del Pil. La tabella al punto crescita segna per il prossimo anno l’1 per cento. Padoan venerdì sera aveva espresso fiducia su questo numero, e questa è la cifra concordata, anche se Palazzo Chigi non esclude di riuscire, nelle prossime ore, a convincere proprio il Tesoro ad arrivare all’1,1 per cento. La situazione, come è noto, non è delle migliori: per il 2017 l’Ocse segna lo 0,8 per cento e la Confindustria addirittura 0,5 per cento. Il secondo trimestre dell’anno ha dato una crescita piatta anche se la revisione del Pil del 2014 e del 2015, appena arrivata, non ha peggiorato di molto le cose lasciando margini a stime ispirate alla “fiducia” contando sugli effetti della manovra.
La battaglia della flessibilità. È la posta più alta in gioco sul tavolo che vede contrapposte Roma e Bruxelles. Palazzo Chigi ha cifrato un rapporto di deficit-Pil del 2,3 per cento: in queste ore Renzi avrebbe già in tasca il 2,2 per cento anche se non esclude di raggiungere il 2,4 per cento. Dato che il Def di aprile, “vistato” in maggio da Bruxelles, ci consente di arrivare all’1,8 per cento, si prospetta un margine in più che si può valutare nello 0,5 per cento del Pil, circa 8 miliardi.
La flessibilità è stata introdotta dalla Commissione Juncker nel 2015 per allentare il rigore in Europa: si può utilizzare in caso di congiuntura negativa, riforme, investimenti ma anche per far fronte a circostanze difficili come l’emergenza migranti e il terrorismo. L’Italia l’ha avuta già nel biennio 2015-2016: come ha ricordato nei giorni scorsi Juncker abbiamo beneficiato di 19 miliardi. Dunque stop, come ha riconosciuto anche il ministro Padoan a Bratislava. La strada, che consentirebbe di sfondare e arrivare al 2,3 per cento, è un’altra: si chiama “circostanze eccezionali” e riguarda il recente terremoto nel Centro Italia, con le ricadute sulla riqualificazione sismica e la messa in sicurezza delle scuole. I quattro miliardi necessari di cui si parla entrerebbero in questa partita cui si aggiungerebbe una posta relativa all’emergenza immigrazione: naturalmente la verifica andrà fatta a consuntivo nel marzo del 2017.
Il pressing di Renzi. La grande tensione delle ultime due settimane è stata il segno della battaglia dell’Italia: dal 16 settembre a Bratislava fino ieri a Prato, il premier non ha risparmiato critiche all’Europa, alla politica di austerità (“Fa più male che bene”), alla Germania (“Non rispetta le regole sul surplus commerciale”), al Fiscal compact (“Non ha funzionato”). Ieri dopo lo schiaffo di Berlino (Renzi non è stato invitata al vertice Merkel-Hollande-Juncker), il premier da Prato è tornato alla carica: “Non mi faccio intimorire”, ha detto. Alla fine, anche in considerazione del clima europeo, del populismo montante e della scommessa del referendum costituzionale, il “nein” sembra rientrato e il rapporto deficit-Pil potrà salire.
Pensioni e imprese. La nota di aggiornamento al Def dovrebbe contenere solo una indicazione di massima degli interventi a “dare” e dei tagli. Naturalmente con un deficit al 2,3 per cento i margini sono più ampi: la difficile operazione di trovare i 15,1 miliardi per disinnescare l’aumento dell’Iva di due punti potrà essere affrontata quasi tutta in deficit, resteranno da finanziare i nuovi interventi forse per 5-6 miliardi. In prima linea ci sono le pensioni, la povertà e le famiglie, il contratto degli statali, il superammortamento per le aziende che investono oltre al salario di produttività. Niente riduzione dell’Irpef o cuneo fiscale, rinviate al 2018. Mentre risorse verranno dalla spending review (3 miliardi), forse dalla sanità e dalle Regioni. Nuove entrate si attendono dalla ‘operazione di rientro dei capitali e da un intervento su alcune detrazioni.