• 24 Novembre 2024 1:02

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È stato scoperto come noi umani abbiamo perso la coda

Mar 1, 2024

All’interno del nostro genoma nulla è statico e fermo, neppure durante la nostra stessa vita. Alcuni brevi sequenze di DNA, lunghe poche centinaia di basi, sono in grado di spostarsi da una regione all’altra del genoma, ove con “spostarsi” si intende tanto un movimento fisico quanto, in altri casi, la creazione e l’inserimento a distanza di una copia delle sequenze stesse.
 

Fra questi elementi indipendenti di DNA che “saltano” da un punto all’altro del nostro genoma – detti trasposoni – una tipologia particolarmente abbondante e caratteristica dei soli primati è chiamata “elementi Alu”. Come tutti i trasposoni, gli elementi Alu sono sequenze discrete di DNA che si muovono, o “saltano”, da un punto all’altro del genoma. Per spostarsi, un elemento Alu viene trascritto in RNA messaggero e quindi convertito nuovamente in una molecola di DNA a doppio filamento da una trascrittasi inversa. La nuova molecola di DNA a doppio filamento viene quindi inserita in una nuova posizione casuale nel genoma. Per queste attività gli elementi Alu, che non sono autonomi, si affidano a un altro tipo di trasposone, chiamato L1, che invece codifica per la macchina molecolare necessaria al trasferimento proprio e di molti altri trasposoni.
 

Ora, la caratteristica speciale degli elementi Alu è che grazie al processo descritto si duplicano spesso: gli scienziati stimano che il genoma umano acquisisca un nuovo inserto Alu ogni 200 nascite circa. In altre parole, il numero di elementi Alu nella popolazione umana (e in altre popolazioni di primati) tende ad aumentare nel tempo. Si ritiene che gli Alu siano emersi nei primati circa 65 milioni di anni fa. Oggi rappresentano il tipo più abbondante di trasposone umano, costituendo uno straordinario 10% del genoma umano. Pertanto, in soli 65 milioni di anni, questi trasposoni sono passati da zero a circa 1 milione di copie per cellula e si trovano in quasi tutti i geni umani (e in altri primati).
 

In linea di principio, ogni volta che si sposta, un elemento Alu può inserirsi in una posizione del genoma tale da distruggere un gene o da cambiarne la funzione o anche il modo in cui questa è controllata; se e quando ciò accade, è possibile che si generi una nuova variante dell’organismo ospite, con dei tratti diversi dai suoi progenitori e con diverse capacità da passare al vaglio della selezione naturale. Nel caso la variazione prodotta non sia letale, essa potrà diffondersi nella popolazione, contribuendo alla sua evoluzione darwiniana. Fino a oggi, questa è stata un’interessante teoria, la quale, pur essendo una logica conseguenza di ciò che sappiamo, non aveva ancora trovato conferme eclatanti nella nostra specie: le conseguenze evolutive di possedere insieme a pochi altri primati un numero così elevato di elementi Alu non erano ancora state dimostrate, per cui tali elementi anche se potenzialmente utili a generare varietà nella popolazione, potevano pur sempre essere semplicemente una sorta di “parassita genetico” che gradualmente sta invadendo il genoma nostro e delle specie a noi più prossime.
 

Un lavoro appena pubblicato su Nature ha però definitivamente accertato come la mobilitazione degli elementi Alu ha in realtà avuto conseguenze drastiche da un punto di vista evolutivo sull’anatomia nostra e dei primati a noi vicini, dimostrando contemporaneamente un’altra via per ottenere quei “salti” evolutivi predetti da Gould, molto diversi dalla graduale trasformazione dovuta alle mutazioni casuali di singole basi nel nostro genoma.
 

Da circa un secolo, era noto che nei topi mutazioni di un gene detto TBXT provocavano difetti di sviluppo della coda. Questo gene nei mammiferi è fatto di sei pezzi, uniti insieme a dare il prodotto finito. Circa 25 milioni di anni fa, tuttavia, nell’antenato comune degli ominoidei (oranghi, gibboni, scimpanzè, gorilla e umani) una sequenza Alu si è inserita in una posizione del genoma tale da cambiare il modo in cui si assembla la proteina TBXT, che è passata da sei a cinque pezzi. Nel nuovo lavoro, i ricercatori hanno dimostrato che riproducendo esattamente questa inserzione nel genoma del topo, si ottiene la scomparsa della coda, perché la versione a cinque pezzi di TBXT porta al mancato sviluppo embrionale e all’atrofia delle vertebre caudali; ma hanno anche trovato che, in percentuali insolitamente alte degli embrioni, si ottengono difetti nello sviluppo del tubo neurale (come avviene peraltro anche mutando in altro modo la sequenza della proteina TBXT). Proprio questo tipo di condizione colpisce circa 1 neonato su 1.000 negli esseri umani, il che implica che la perdita della coda potrebbe essere stata associata a un costo adattativo in termini di potenziali difetti del tubo neurale, che continuano a influenzare la salute umana oggi.
 

Perché questo costo è stato sostenuto? Le specifiche pressioni evolutive relative alla perdita della coda negli ominoidei non sono chiare, sebbene siano probabilmente coinvolte nel cambio di locomozione avvenuto con la transizione a uno stile di vita non arboreo. Il vantaggio selettivo deve essere stato forte, tanto da superare l’incidenza dei difetti al tubo neurale di cui si è accennato; e così, una riorganizzazione brusca del nostro genoma causata in modo spontaneo da un “parassita genetico” si è diffusa in una popolazione dell’antenato di tutti gli ominoidei, quando, all’improvviso, sono comparsi alcuni nati senza coda.
 

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