Il Ddt (diclorodifeniltricloroetano) è stato uno degli insetticidi più utilizzati nel XX secolo per il controllo delle zanzare vettori della malaria. Introdotto negli anni ’40, ha inizialmente avuto un enorme successo nella riduzione delle popolazioni di zanzare, portando a una significativa diminuzione dei casi di malaria in molte parti del mondo, inclusa l’Italia. Tuttavia, questo apparente successo è stato alla fine vanificato a causa dell’insorgere della resistenza nelle popolazioni di zanzare; non avremmo avuto il successo che abbiamo avuto, se, in contemporanea al Ddt, non si fossero eliminati i siti di riproduzione del vettore della malaria.
In Italia, come in molte altre regioni, si sono infatti registrati casi sempre più diffusi di resistenza al Ddt, comunemente osservata in specie come Anopheles labranchiae, uno dei principali vettori. Proprio come avvenuto per i batteri resistenti agli antibiotici, la resistenza è stata facilitata dalla pressione esercitata dall’uso ripetuto e intensivo del Ddt, che ha portato alla selezione di individui resistenti all’insetticida. Alla fine, più ancora del Ddt ha contato per il lungo termine la bonifica delle paludi e la riduzione dei siti di riproduzione delle zanzare, unitamente all’uso degli antimalarici.
La resistenza agli insetticidi nelle zanzare rappresenta infatti ancora oggi una delle maggiori sfide per il controllo delle malattie trasmesse da questi insetti, come la malaria, la dengue e il virus Zika. In diverse parti del mondo, sono stati documentati casi di multiresistenza e resistenza crociata che hanno reso più difficile il controllo delle popolazioni di zanzare vettori anche utilizzando a rotazione combinazioni di prodotti diversi. Un esempio notevole è quello dell’Anopheles gambiae, il principale vettore della malaria in Africa. Questa specie ha sviluppato resistenza a quasi tutte le classi di insetticidi utilizzate nella lotta antimalarica, inclusi piretroidi, organoclorurati come il Ddt, organofosfati e carbammati. La resistenza ai piretroidi è particolarmente problematica, poiché questi insetticidi sono ampiamente utilizzati per trattare le zanzariere, uno degli strumenti principali nella prevenzione della malaria. Le zanzare Anopheles gambiae hanno sviluppato diverse strategie di resistenza, tra cui mutazioni nei canali del sodio (note come mutazioni kdr, da “knockdown resistance”), che impediscono il legame del Ddt e dei piretroidi, e l’aumento dell’attività degli enzimi di detossificazione come il citocromo P450. Questi enzimi sono in grado di metabolizzare una vasta gamma di insetticidi, contribuendo alla resistenza a più classi chimiche contemporaneamente.
Un altro esempio di multiresistenza si trova nelle popolazioni di Aedes aegypti, la zanzara responsabile della trasmissione di malattie come dengue, chikungunya, Zika e febbre gialla. In molte aree dell’America Latina e dell’Asia, le zanzare Aedes aegypti hanno sviluppato resistenza a diversi insetticidi, tra cui piretroidi, organofosfati e carbammati. Questa resistenza è stata facilitata dall’uso prolungato e ripetuto degli stessi insetticidi per il controllo delle zanzare in aree urbane, dove la densità di popolazione umana e l’abbondanza di siti di riproduzione (come contenitori d’acqua) creano condizioni ideali per la proliferazione delle zanzare. Anche in questo caso, la resistenza è legata sia a mutazioni genetiche nei canali del sodio, sia a un aumento degli enzimi di detossificazione che riducono l’efficacia degli insetticidi.
Un esempio di resistenza crociata si è verificato nelle zanzare Culex pipiens, vettori di virus come il virus del Nilo occidentale. In alcune regioni del Mediterraneo e degli Stati Uniti, Culex pipiens ha sviluppato resistenza a insetticidi di diverse classi chimiche attraverso meccanismi di resistenza metabolica. Ad esempio, l’aumento dell’attività dell’enzima estereasi permette alla zanzara di metabolizzare rapidamente sia gli organofosfati che i carbammati, conferendo resistenza crociata a entrambe le classi di insetticidi. Questo tipo di resistenza rende particolarmente difficile il controllo delle zanzare, poiché l’uso di un insetticida con un meccanismo d’azione diverso potrebbe comunque essere inefficace a causa della capacità delle zanzare di detossificare più classi chimiche.
La resistenza agli insetticidi influisce sull’efficacia, ma, proprio come quando si fa una valutazione costi/benefici per l’adozione di un farmaco, bisogna considerare anche i possibili “effetti collaterali”. Come è ben noto, il rilascio del Ddt nell’ambiente ha avuto conseguenze significative sia per l’ecosistema che per la salute umana. Il Ddt, essendo un composto altamente persistente, si accumula lungo la catena alimentare, causando effetti tossici su numerosi organismi, inclusi gli uccelli predatori, i cui gusci d’uovo si sono indeboliti, portando a un calo delle popolazioni. Oltre agli uccelli, anche altri animali selvatici, come mammiferi e anfibi, hanno subito danni a causa dell’accumulo di Ddt nei loro tessuti. Per esempio, nei mammiferi marini, come le foche, sono stati osservati effetti negativi sul sistema immunitario, con un aumento della suscettibilità alle infezioni. Gli anfibi, che sono particolarmente sensibili agli inquinanti ambientali, hanno mostrato deformazioni e riduzioni delle popolazioni in aree contaminate. Il Ddt ha anche avuto effetti devastanti sugli insetti non bersaglio, come le api e altri impollinatori, contribuendo al declino delle loro popolazioni e compromettendo l’impollinazione delle piante selvatiche e coltivate. Questo impatto a cascata sull’ecosistema ha portato a una riduzione della biodiversità e a squilibri ecologici che persistono ancora oggi in molte aree contaminate.
Come se non bastasse, anche la salute umana è stata influenzata: studi hanno evidenziato un possibile legame tra l’esposizione prolungata al Ddt e l’aumento del rischio di malattie come il cancro, problemi riproduttivi e disturbi endocrini. I meccanismi attraverso cui il Ddt influisce sulla salute umana comprendono la sua capacità di agire come un interferente endocrino, alterando l’equilibrio degli ormoni sessuali e tiroidei. Questa interferenza può portare a problemi di fertilità, come la riduzione del numero di spermatozoi negli uomini e alterazioni del ciclo mestruale nelle donne. Inoltre, il Ddt è stato classificato come probabile cancerogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), con studi solidi in animale. Le indagini epidemiologiche mostrano per esempio il legame fra esposizione al Ddt e un rischio notevolmente aumentato di sviluppare il cancro al seno. Inoltre, il Ddt è stato associato a una maggiore incidenza di nascite premature e basso peso alla nascita, indicando un impatto significativo sulla salute riproduttiva e sullo sviluppo fetale.
Alla luce delle problematiche legate alla resistenza da una parte e agli effetti indesiderati su ambiente e salute dall’altra, l’uso del Ddt e di altri insetticidi per i quali è documentata la resistenza non può essere considerato una soluzione sostenibile per il controllo delle zanzare. Sebbene possano ancora avere un ruolo limitato in determinate situazioni di emergenza, l’uso prolungato e intensivo di questi prodotti porta inevitabilmente allo sviluppo di resistenza, rendendo inefficaci le strategie di controllo. Per questo motivo, è necessario considerare approcci alternativi e più sostenibili per il controllo delle popolazioni di zanzare.
Una delle strategie più promettenti è la gestione integrata dei vettori (Integrated Vector Management, Ivm), che combina diverse tecniche per ridurre la popolazione di zanzare senza fare affidamento esclusivo sugli insetticidi. Questi metodi includono la riduzione dei siti di riproduzione, ad esempio eliminando o trattando l’acqua stagnante, che è fondamentale per interrompere il ciclo riproduttivo delle zanzare. La bonifica delle aree paludose e la gestione dell’acqua rappresentano misure efficaci e a lungo termine per ridurre l’habitat delle zanzare. Inoltre, l’introduzione di predatori naturali, come pesci larvivori che si nutrono delle larve di zanzare, può contribuire a controllare le popolazioni senza l’uso di prodotti chimici.
Un altro approccio è l’uso di tecnologie biologiche, come l’infezione con batteri del genere Wolbachia, che colpiscono selettivamente le larve di zanzare senza danneggiare altri organismi. Questa tecnica è particolarmente utile nelle aree urbane, dove l’uso di insetticidi chimici potrebbe avere effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente. Inoltre, l’uso di zanzare geneticamente modificate o di zanzare maschi sterili rappresenta un’altra soluzione promettente per ridurre le popolazioni di zanzare in modo ecocompatibile. Ad esempio, zanzare geneticamente modificate sono state utilizzate per introdurre geni letali nella popolazione, riducendo il numero di individui in grado di riprodursi. Un progetto pilota in Brasile iniziato nel 2018 ha utilizzato maschi geneticamente modificati di Aedes aegypti che, accoppiandosi con le femmine selvatiche, producono progenie non vitale, portando a un calo significativo della popolazione. In tre anni, dal 2020 al 2022, la popolazione di zanzare è calata di quasi il 99 per cento. Un progetto con lo stesso intento è stato realizzato in Indonesia, dove sono stati rilasciati maschi di zanzara infettati con Wolbachia a Yogyakarta. I risultati hanno mostrato una riduzione della popolazione di zanzare del 77 per cento nelle aree di rilascio (World Mosquito Program, 2021), contribuendo a una significativa diminuzione dei casi di dengue. Allo stesso modo, la tecnica del maschio sterile (Sterile Insect Technique, Sit) è stata impiegata con successo in alcune aree per ridurre la popolazione di Anopheles arabiensis, una delle principali zanzare vettori della malaria.
I maschi sterilizzati tramite radiazioni si accoppiano con le femmine senza produrre discendenti, contribuendo così a diminuire il numero complessivo di zanzare. Un esempio di questo approccio è stato l’uso della tecnica del maschio sterile a Procida, in Italia, dove maschi sterilizzati sono stati rilasciati per controllare la popolazione di zanzara tigre Aedes albopictus. I risultati hanno mostrato una riduzione significativa della popolazione di zanzare, con una diminuzione stimata del 50 per cento nelle aree di rilascio, dimostrando l’efficacia di questa tecnica quando combinata con altre misure di controllo ambientale. Questo progetto ha anche evidenziato come la collaborazione tra enti di ricerca e amministrazioni locali possa migliorare la gestione delle popolazioni di zanzare in modo sostenibile.
In quanto ai costi di questo tipo di trattamenti, la gestione integrata dei vettori (Ivm), l’uso di zanzare geneticamente modificate o maschi sterili, e altre tecniche biologiche implicano spese significative in termini di ricerca, sviluppo e implementazione. Ad esempio, il rilascio di zanzare geneticamente modificate richiede infrastrutture per l’allevamento e il monitoraggio, nonché una collaborazione stretta tra enti pubblici e privati per garantire il successo del programma. Il costo di questi progetti può variare considerevolmente: per il progetto pilota a Yogyakarta, il costo stimato è stato di diversi milioni di dollari, considerando sia la fase di ricerca sia quella di attuazione. Anche il rilascio di maschi sterili richiede laboratori specializzati e tecnologie avanzate per la sterilizzazione tramite radiazioni. Tuttavia, questi costi devono essere valutati alla luce dei benefici a lungo termine. I trattamenti alternativi possono essere economicamente convenienti perché riducono la necessità di interventi chimici ripetuti, che comportano costi elevati sia in termini di acquisto di insetticidi sia di applicazione frequente. Inoltre, riducendo il rischio di resistenza, si evitano i costi futuri legati alla perdita di efficacia degli insetticidi tradizionali e alla necessità di sviluppare nuovi prodotti. L’investimento iniziale, sebbene significativo, può quindi alla fine portare a risparmi sostanziali nel lungo periodo.
Dovrebbe a questo punto essere chiaro perché, sebbene l’uso del Ddt e di altri insetticidi possa essere efficace nel breve termine e sia eccezionalmente consentito come misura di emergenza localizzata ed in mancanza di alternative da parte dell’Oms, le prove mostrano chiaramente che non rappresentano una soluzione sostenibile per il controllo delle zanzare.
Proprio come nel caso della resistenza agli antibiotici, l’uso indiscriminato di molecole ad azione insetticida può provocare e ha provocato nello spazio di un decennio nuovi problemi, che rischiano di vanificare il beneficio iniziale; e sebbene tecniche come la rotazione e il corretto dosaggio di molecole molto diverse abbiano certamente un effetto sui tempi di sviluppo della resistenza, la dimostrata capacità delle zanzare di sviluppare resistenze multiple, proprio come nel caso dei batteri, non può essere sottaciuta.
Oltre all’educazione della popolazione circa le fonti di acqua stagnante e agli interventi di bonifica ambientale per prosciugamento dei ristagni in ambiti come quelli industriale, la gestione integrata, la riduzione dei siti di riproduzione, l’uso di tecniche biologiche e di strumenti innovativi come le zanzare geneticamente modificate e i maschi sterili sono tutti approcci che offrono una maggiore sostenibilità e riducono il rischio di sviluppo di resistenza. Solo attraverso una combinazione di metodi diversi e un approccio più flessibile rispetto all’irrorazione di un insetticida sarà possibile controllare efficacemente le popolazioni di zanzare e ridurre la diffusione delle malattie che esse trasmettono, un problema che inevitabilmente si aggraverà nei prossimi anni.