AGI – Salva ogni cinque minuti. Ci aveva avvisati, con una delle sue strisce, il fumettista romano Zerocalcare: qualunque lavoro tu stia facendo, qualunque sia la dimensione del file che hai sullo schermo, “Salvala ogni cinque minuti”. Per renderlo più convincente, il monito, nel fumetto del nume tutelare degli ansiosi Zero, era minacciosamente pronunciato dalla memory card di una Play Station: perché poche cose danno la rabbia di un gioco che si blocca quando hai raggiunto l’ultimo livello, costringendoti a ricominciare daccapo.
Poche cose, se si escludono le cose serie, certo. Lo sanno gli studenti alle prese con una tesi di laurea su un pc a cui basta un calo di tensione per spegnersi e mandare in fumo il lavoro fatto; lo sa chi archivia migliaia di foto e di video nella memoria di un telefono che potrebbe cadere dalla tasca in un momento di distrazione. Lo sa chi affida ai dispositivi tutti i dati sensibili di una vita, demandando alla memoria esterna la funzione di ricordare tutto: dal pin del bancomat al contratto di lavoro.
Il rischio di perdere dati che diamo per “sicuri” nei nostri dispositivi digitali è concreto: per questo ogni anno, da ormai dodici anni, si celebra il World Backup Day. La giornata scelta per la ricorrenza è il 31 marzo, un attimo prima della giornata dedicata agli scherzi, proprio per invitare chi ha uno o più dispositivi digitali – in sintesi: praticamente tutti – a non rischiare di restare vittima di un involontario pesce d’aprile.
E perché istituire addirittura una “giornata del PRO-memoria”, rivisitazione in chiave tech della giornata della memoria? Per evitare che qualcuno possa dire il solito “te l’avevo detto” quando capita un inconveniente. I dati sono disponibili online: il 30% delle persone non ha mai fatto un backup, a suo rischio e pericolo.
Il 29% dei piccoli “disastri” avviene infatti involontariamente: un attimo di distrazione è sufficiente a cancellare definitivamente quel documento al quale stavamo lavorando da giorni, o a distruggere quel file audio o video che volevamo tenere per ricordo, o quella fotografia di una vacanza che non rifaremo.
E non è un caso raro, se è vera la storia (leggenda o verità) che vuole che nel 1998 sia toccato alla Pixar fare i conti col rischio di aver perso non due documenti di poco conto ma il 90% del film Toy Story 2, frutto di un anno di lavoro di trenta persone. A salvare il cartone animato sarebbe stata la copia che una delle persone coinvolte nella lavorazione aveva fatto per “portarsi a casa il lavoro” durante la maternità.
Ai i rischi “interni” si aggiungono poi i virus, che infettano decine di computer ogni mese (in media uno su dieci) rubando dati. Un esempio è il famigerato ransomware, o quelle storie di cybercrimine che vedono dei veri “sequestri” di dati finché non venga pagato un riscatto per riaverli.
E poi c’è, naturalmente, la sfortuna: infatti, mediamente, 113 I-Phone (solo I-Phone, a questo dato vanno aggiunti gli altri dispositivi) vengono smarriti o rubati ogni minuto, portandosi via tutto ciò che custodiscono in memoria. Un sito in diverse lingue (worldbackuoday.com) spiega tutto ciò che è necessario fare per evitare di perdere tutto, seguendo passi brevi e semplici, a prova di avversità tecnologiche.
Un esempio? Alla domanda “Cos’è un backup?”, la bibbia online risponde in dieci lingue: “Il backup è una seconda copia di tutti i tuoi file importanti — per esempio, le foto della tua famiglia, i tuoi video, documenti ed email. Invece di salvarli tutti in un unico posto (come il tuo computer), fanne una copia da un’altra parte”.
Traduzione ulteriore per semplificare ancora di più a beneficio di quella zia poco abituata alla tecnologia che tutti abbiamo: di ogni file, di ogni dato, di ogni documento, di ogni fotografia, sarebbe bene duplicare una copia dal telefono al computer, e dal computer al tablet, per poi conservare ciascuno di questi oggetti in un diverso cassetto della casa. Così se dovessimo perderne uno, o se dovessimo romperlo, avremmo ricordi e archivi a portata di mano. Quelli che una volta erano gli hard disk esterni, insomma, ma con l’upgrade della connessione a Internet.
C’è poi un passo successivo (da non spiegare necessariamente alle zie): criptare. Ovvero: una volta memorizzati i dati su dispositivi diversi, si possono trasferire anche su servizi di backup su cloud, affidandoli alla rete: in questo caso è necessario proteggerli con una password. Che naturalmente non deve essere la stessa che si usa per ogni cosa, e non dovrebbe essere troppo facile da intuire per chi volesse accedere furtivamente ai nostri dati: l’esempio negativo in questo caso sono quei casi di cronaca in cui archivi fotografici di celebrità vengono hackerati, per poi essere rivenduti alla stampa scandalistica che pubblica immagini molto private di personaggi pubblici.
Per difendersi da questo rischio occorre studiare bene le password, e cambiarle con una certa frequenza, ovviamente. D’altronde se non ci pensiamo noi, ce lo ricordano le app stesse. App che hanno comunque accesso quasi in automatico, una volta autorizzate, ai nostri dati: il backup, che voi lo ricordiate o no, è già quasi certamente su Google Photo e sul Cloud di Apple, e probabilmente è proprio questo ad appesantire la memoria di tutte le vostre ram.
Per avere accesso a un database più ampio, le app richiedono ovviamente un abbonamento a pagamento: ed è proprio il 31 marzo il giorno giusto per rinnovarlo, per cliccare su “effettua l’aggiornamento”, su “effettua il backup” anziché skippare come di norma si fa nella convinzione di risparmiare tempo. Salvo poi domandarsi perché non abbiamo salvato i dati importanti prima, di norma sempre un attimo dopo averli persi.