Al centro del contenzioso tra i due, legati da un rapporto professionale nel 2013, ci sono appunto due accordi sulla privacy del cantante. Il primo, gratuito, datato 10 aprile 2013 uguale a quello fatto firmare anche ad altri collaboratori. Il secondo, senza data, che la procura ritiene falso, che prevedeva un compenso di 6 milioni in 30 anni in rate da 200mila euro all’anno. Un atto straordinario, che Salvati aveva detto di aver firmato “assieme a Vasco” durante un tour in Puglia tra il 12 e il 15 aprile. Il manager aveva spiegato che il cantante gli aveva fatto firmare l’accordo a pagamento nella sua camera, proponendogli di curare un progetto per la propria autobiografia, un libro e un docufilm. L’imputato aveva aggiunto poi che, accorgendosi di alcuni errori, Rossi lo aveva modificato su un computer davanti a lui e ristampato.
Ieri però Oscar Ghizzoni, chimico forense ex Ris, ha spiegato che alcune pagine di questo patto sono state sì prodotte con
stampanti diverse (una è quella dove ci sono anche le firme), ma che si tratta di strumenti non in dotazione agli uffici del rocker. Il giallo insomma resta, anche alla luce del fatto che chi ha redatto l’atto ha copiato anche alcuni errori presenti nelle bozze del contratto che, fanno notare le difese, certamente Salvati non possedeva. A questo punto sarà il giudice a trarre le conseguenze dopo la discussione prevista alla prossima udienza.