• 6 Dicembre 2025 5:11

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Disturbi alimentari per 3 milioni di italiani: 9 su 10 sono donne

Giu 1, 2025

AGI – In Italia oltre 3 milioni di persone convivono con un disturbo del comportamento alimentare, tra anoressia, bulimia e binge eating disorder. Solo l’anoressia nervosa colpisce circa l’1% della popolazione, con oltre 540mila casi, di cui il 90% donne. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, l’età di insorgenza più frequente è tra i 15 e i 25 anni, ma i casi tra i minori sono in aumento: durante il primo semestre del 2020, le nuove diagnosi di disturbi alimentari sono cresciute del 40% rispetto all’anno precedente. Anche in Europa il quadro preoccupa: la prevalenza nei bambini raggiunge il 2%, la più alta a livello globale. Numeri che evidenziano l’urgenza di un approccio fondato su basi cliniche solide e non condizionato da semplificazioni mediatiche o narrazioni ideologiche.

In vista del World Eating Disorders Day, che si tiene il 2 giugno in tutto il mondo, la Società Italiana di Psichiatria (SIP) invita a riportare l’attenzione sulla complessità dei disturbi alimentari, per troppo tempo ridotti a problemi “culturali” o di mera immagine corporea. “Negli ultimi anni – osserva Liliana Dell’Osso, psichiatra e presidente della SIP – l’attenzione mediatica è cresciuta e si sono moltiplicate le campagne per combattere stereotipi estetici e stimoli sociali negativi. Tuttavia, questo slancio comunicativo ha spesso generato confusione, sovrapponendo concetti diversi – salute e politica, malattia e cultura, natura e ambiente – e trascurando la base clinico-biologica della malattia. Un esempio evidente è il movimento della body positivity dove la giusta lotta agli stereotipi estetici si è fusa con il principio dell’inclusività, rischiando pero’ di incoraggiare, inconsapevolmente, comportamenti errati o di ostacolare l’accesso alle cure”. 

È dunque fondamentale trovare un equilibrio tra salute mentale e salute fisica.

“Un peso corporeo eccessivo, ad esempio – spiega – non deve essere motivo di vergogna o esclusione sociale, ma va comunque corretto per prevenire complicanze metaboliche e cardiovascolari, a volte anche gravi”. Un altro rischio è rappresentato dai cosiddetti ‘alibi ideologici’, che possono legittimare condizioni patologiche estreme – sia in eccesso sia in difetto – ostacolando la consapevolezza e l’accesso alle terapie. In particolare, la presidente SIP sottolinea come una visione esclusivamente ambientale dei disturbi alimentari abbia messo in secondo piano un fattore determinante: la vulnerabilità neurobiologica individuale.

“In molti pazienti si osservano tratti di spettro autistico, come la ruminazione mentale su interessi ristretti – spiega Dell’Osso -. Nelle ragazze questi aspetti passano spesso inosservati a causa di strategie di mimetizzazione sociale”.

Anche la storia clinica dimostra che i disturbi alimentari non sono un “prodotto della società moderna”. Sintomi e comportamenti compatibili con l’anoressia sono documentati in epoche e contesti culturali diversi, a dimostrazione che non si può ricondurre tutto ai modelli estetici imposti dalla contemporaneità.

“Cosi’ come non tutti sviluppano un disturbo post-traumatico dopo un evento stressante – conclude Dell’Osso- allo stesso modo, non tutti reagiscono agli stimoli ambientali con una patologia alimentare. Serve maggiore consapevolezza sui fattori di vulnerabilità individuale, per garantire diagnosi precoci e trattamenti più efficaci”. 

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