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Di Maio accusa il colpo – HuffPost Italia

Mar 4, 2019

La reazione è tipica di chi ha accusato il colpo. Luigi Di Maio, neanche ventiquattr’ore dopo il “risveglio democratico” del popolo del centrosinistra, reagisce, cerca una mossa, perché la “botta” c’è, ed è innegabile. Solo un cieco non riuscirebbe a vedere che, in quei gazebo, sono andati anche tanti delusi dei Cinque Stelle, e la portata della reazione al governo gialloverde, diventato in questi mesi più verde che giallo.

Esattamente un anno fa, il 4 marzo, lo tsunami nelle urne aveva alimentato la suggestione di un nuovo bipolarismo, tra Lega e Cinque Stelle, con la sinistra condannata all’estinzione o a un ruolo gregario. E, per un anno, è stato solo un gioco a due, complice l’afonia del Pd e le sue contorsioni politiciste. Gioco a due, anche se con un ribaltamento dei rapporti di forza tra i due partiti di maggioranza: la marcia trionfale di Salvini, la rapida agonia, politica e numerica, di Di Maio. Oggi il leader dei Cinque Stelle, dopo il plebiscito di Nicola Zingaretti, si affretta a formulare una proposta, chiedendo a quel partito dato per morto, e trattato sprezzantemente come tale, di votare per il “salario minimo”, legge che proprio il Pd aveva deposito a luglio dell’anno scorso, prima ancora dei Cinque Stelle. E fa anche sapere che metterà mano, a un altro tema sociale, i “riders”.

È un modo per uscire dall’angolo, annusare l’avversario, provocare, sfidare, tentare un recupero a sinistra, di fronte a un cambio di pagina e una ripresa dell’iniziativa politica. Col segretario del Pd che sceglie, per la sua prima uscita, il tema che più di ogni altro rappresenta una ferita per il governo. Recupero, questa la parola chiave, con i sondaggi che, per la prima volta, attestano che il Pd è attorno al 20 per cento, a soli due punti dai Cinque Stelle.

Si spiega così il gioco politico attorno al salario minimo, per poi dire, di fronte a un no che alcuni nel Pd si sono già affrettati a comunicare, “ci hanno detto no perché i gruppi li controlla ancora Renzi”, un cognome che finora è stato una assicurazione sulla vita, il nemico di sempre, già battuto, e provare a oscurare la novità. È evidente che c’è un “effetto Zingaretti”. Dopo un anno di gioco a due è tornato un gioco a tre, col Pd nuovamente attore grazie a una poderosa spinta popolare. Salvini che finora lo aveva ignorato, ora lo attacca grossolanamente, minimizzando il dato della partecipazione e piombando alla Camera di lunedì per una conferenza stampa. Di Maio propone una “apertura tattica” su un tema di sinistra che non scalda i cuori della Lega, chiedendo consenso su una legge uguale a quella depositata dal Pd. È chiaro l’intento: dire, di fronte a un no che, in fondo, il Pd è il Pd di sempre, e non è cambiato nulla ma, al tempo stesso, inviare un messaggio a Salvini, in termini di recupero di spazi a sinistra, che certo non mette in discussione né il mitico “contratto” né gli equilibri di governo.

Al fondo c’è la consapevolezza di chi sa che, dentro il suo Movimento, in parecchi vedono nel risultato del congresso, se non ora, potenzialmente l’apertura di un altro forno e di un’altra prospettiva. Non è sfuggito il tweet con cui il presidente della Camera Roberto Fico, già nella serata di ieri, augurava buon lavoro al nuovo segretario, interpretato come un segnale politico e non solo come “galateo” istituzionale. Ecco, questo day after non descrive una strategia compiuta né un disegno consapevole, anzi semmai descrive da parte dei Cinque Stelle l’opposto: l’affannosa ricerca di una nuova “connessione sentimentale” con un pezzo del loro popolo che vive con disagio la mutazione genetica in “costola della Lega”. E torna a guardare a sinistra. La risposta, quella di Zingaretti, è da manuale: “I processi politici non si fanno con le furbizie”. Sarebbe stato stupefacente il contrario, dopo un voto che rappresenta la manifestazione di un rifiuto di questo governo e il bisogno di una alternativa radicale. Non esiste per il neo-segretario del Pd nessuna scorciatoia parlamentare verso il dialogo con i Cinque Stelle che non passi per il fallimento di questo governo e per il ritorno al voto.

In modo caricaturale proprio Zingaretti è stato descritto, durante la campagna congressuale, come l’uomo del dialogo con i Cinque Stelle, pronto a trasformare il Pd in una stampella di Di Maio. La verità è che il segretario del Pd, se sente un’urgenza, è quella di preparare un nuovo assetto e tornare al voto quanto prima. Anche la sua prima giornata, lontana da Roma, dai suoi rituali, dal suo “teatrino della politica”, dalle sue conferenze stampa, dalle sue foto di rito al partito, racconta di una proiezione tutta sul paese reale. Nel suo primo giorno ha scelto di parlare all’esterno, sulla Tav, e non ai dirigenti del suo partito, su un tema sentito dal paese. Lo ha fatto anche con una certa forza comunicativa, con quell’aggettivo, “criminale”, associato all’atteggiamento di chi rischia di “buttare soldi” che è benzina sulle divisioni del governo. In questo 4 marzo quello di un anno fa pare lontano un secolo. La politica italiana ha di nuovo cambiato clima e schema.

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