Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha nuovamente acceso i riflettori sulle politiche commerciali con una serie di annunci e parziali ritrattazioni in merito all’imposizione di nuovi dazi. L’atmosfera di incertezza si è fatta sentire sui mercati globali, con ripercussioni immediate sulle borse e sulle strategie delle aziende multinazionali.
Il ripensamento sui dazi
Inizialmente, il 2 aprile era stato ribattezzato dallo stesso Trump come il “Liberation Day“, un giorno che avrebbe dovuto segnare l’entrata in vigore di un ampio ventaglio di tariffe, comprese quelle sul settore automobilistico. Questa prospettiva aveva destato notevoli preoccupazioni, soprattutto in Europa e in particolare in paesi come la Germania e l’Italia, quest’ultima in quanto principale subfornitore del comparto automotive tedesco. Tuttavia, le indiscrezioni riportate da autorevoli testate come Bloomberg e il Wall Street Journal hanno successivamente suggerito un parziale ripensamento da parte dell’amministrazione Trump. Sembra infatti che settori chiave come quello delle quattro ruote, farmaceutico e dei semiconduttori potrebbero essere risparmiati dall’ondata iniziale di dazi.
Nonostante questa potenziale attenuazione, Trump ha ribadito in una riunione di governo l’intenzione di imporre tariffe su automobili, alluminio e prodotti farmaceutici in un “prossimo futuro“, sebbene senza specificare una data precisa. La motivazione principale dietro questa spinta protezionistica risiede nella volontà di riportare la produzione di questi beni negli Stati Uniti (“made in Usa“) per fronteggiare eventuali emergenze e conflitti bellici. Questa visione strategica evidenzia una preoccupazione per la sicurezza nazionale legata alla dipendenza da fornitori esteri in settori considerati cruciali.
Misure contro i dirty 15
Parallelamente a questi annunci, Trump sembra intenzionato a imporre dazi reciproci ai cosiddetti “dirty 15“, un’espressione che richiama il titolo del celebre film “Quella sporca dozzina” e che si riferisce ai 15 Paesi con cui gli Stati Uniti registrano il maggiore squilibrio commerciale. Sebbene l’amministrazione americana non abbia ufficializzato l’elenco, si prevede che i Paesi nel mirino siano quelli già indicati in una nota del Federal Register di febbraio dal rappresentante commerciale degli Stati Uniti.
In cima alla lista si trova la Cina, con un deficit commerciale di quasi 300 miliardi di dollari, seguita dall’Unione Europea (oltre 225 miliardi) e dal Messico (quasi 175 miliardi). L’elenco comprende, in ordine decrescente, Vietnam, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Canada, India, Thailandia, Svizzera, Malesia, Indonesia, Cambogia e Sudafrica, con la Russia anch’essa potenzialmente coinvolta. L’obiettivo dichiarato di questi dazi reciproci è quello di riequilibrare i rapporti commerciali e di esercitare pressione sui partner commerciali affinché adottino pratiche più eque.
Pervade l’incertezza
Permane tuttavia una significativa incertezza riguardo alle tempistiche e alle modalità di attuazione di queste misure. Non è chiaro se i dazi entreranno in vigore immediatamente o se ci sarà spazio per ulteriori negoziati, come sta già avvenendo con diversi paesi, inclusa l’Italia.
Le annunciate misure protezionistiche non sono prive di conseguenze interne. L’andamento della Borsa, che finora ha mostrato sofferenza di fronte ai venti di guerra commerciale, rappresenta un fattore di pressione per l’amministrazione Trump. Anche i timori di un rialzo dell’inflazione e di una frenata della crescita economica giocano un ruolo cruciale, avendo spinto la Federal Reserve a mantenere invariato il costo del denaro.
Nonostante il potenziale impatto negativo dei dazi, alcune aziende stanno già adottando strategie per mitigarne gli effetti. Il gruppo sudcoreano Hyundai, ad esempio, ha annunciato un significativo investimento da 20 miliardi di dollari negli Stati Uniti, comprendente un’acciaieria in Louisiana. Questa mossa, come ammesso dal CEO di Hyundai Motor, José Muñoz, rappresenta un modo per “navigare tra i dazi” attraverso un aumento della localizzazione della produzione.