AGI – Il caso Abedini, l’ingegnere dei droni, dall’arresto a Malpensa alle presunte connessioni con la vicenda di Cecilia Sala. L’inizio, quasi un mese fa: è il 16 dicembre quando Mohammad Abedini Najafabadi, 38 anni, viene arrestato dall’FBI in Italia, all’aeroporto di Milano Malpensa, e portato nel carcere di Opera. Le autorità statunitensi ne chiedono l’estradizione con l’accusa di “esportare sofisticati componenti elettronici in Iran”, in violazione delle normative statunitensi e delle sanzioni americane contro l’Iran. I componenti sarebbero stati utilizzati a gennaio durante un attacco di droni in Giordania costato la vita a 3 soldati americani, come riferito dal Dipartimento di Giustizia Usa. L’Iran nega a più riprese qualsiasi coinvolgimento e respinge le accuse come “infondate”.
Lo stesso Abedini, il 31 dicembre, si proclama innocente: “Non sono un terrorista”. La vicenda si intreccia inevitabilmente con quella della giornalista italiana, Cecilia Sala, arrestata in Iran appena tre giorni dopo, il 19 dicembre. Per lei, l’accusa è di aver “violato le leggi” della Repubblica islamica dell’Iran.
Ma prima che si arrivi alla liberazione di Sala – quattro giorni fa, l’8 gennaio – il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, esclude qualsiasi “dietrologia” e “diplomazia degli ostaggi” spiegando che “l’Italia non è competente per il procedimento penale di questo iraniano. C’è stato un mandato di cattura e poi si vedrà l’estradizione, sarà la magistratura a decidere. Al momento è trattenuto in carcere ma con tutte le garanzie che spettano a un detenuto non italiano”. Sottolineando poi che l’Italia sta valutando se ci sono i presupposti per l’estradizione di Abedini.
Il 7 gennaio, l’Iran torna a ribadire che l’arresto di Cecilia Sala a Teheran “non è una ritorsione” legata alla detenzione in Italia di Abedini, auspicando che il caso “venga risolto rapidamente”. Il giorno dopo, l’8 gennaio, Cecilia Sala viene liberata. Il 9 gennaio, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ribadisce che si tratta di “due vicende parallele ma non congiunte”. Spiegando, tra l’altro, che è prematuro per ora parlare di domiciliari e braccialetto elettronico per Abedini dal momento che “è fissata un’udienza” – il 15 gennaio, alla Corte d’Appello di Milano, proprio per discutere se confermare la custodia in carcere o accogliere la richiesta di domiciliari avanzata dal legale – e “le carte dall’America non sono ancora arrivate”.
Oggi, 12 gennaio, il Guardasigilli annuncia di aver “depositato alla Corte di Appello di Milano la richiesta di revoca degli arresti per il cittadino iraniano”. Con queste motivazioni: “In forza dell’articolo 2 del trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana, possono dar luogo all’estradizione solo reati punibili secondo le leggi di entrambe le parti contraenti, condizione che, allo stato degli atti, non puo’ ritenersi sussistente”.
E poi, prosegue: “La prima condotta ascritta al cittadino iraniano di “associazione a delinquere per violare l’IEEPA” non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano; quanto alla seconda e terza condotta, rispettivamente di “associazione a delinquere per fornire supporto materiale ad una organizzazione terroristica con conseguente morte” e di “fornitura e tentativo di fornitura di sostegno materiale ad una organizzazione terroristica straniera con conseguente morte”, nessun elemento risulta ad oggi addotto a fondamento delle accuse rivolte emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio Paese di strumenti tecnologici avente potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari”.