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Dakar 2018. Sunderland, Al Attiyah & atti osceni

Gen 9, 2018
Dakar 2018. Sunderland, Al Attiyah & atti osceni

San Juan de Marcona, 8 Gennaio. La Dakar è sempre appesa a un filo, questo sia chiaro. Ma talvolta quel tipo di sospensione diventa un isterismo del destino. O della mala intelligenza, come dicono qui, in questo Magnifico Paese che è il Perù. Altro giro, terza tappa, e siamo ormai con un terzo dei concorrenti out o KO. Roba da non credere, il Rally partito in salita assomiglia tremendamente alle edizioni di trent’anni fa, quando era capace di far fuori metà dei concorrenti in un paio di giorni. Va bene, la situazione è assai meno drammatica di quanto si dipinga, ma c’è già parecchia gente che è lì, a mordersi le mani o rosicchiarsi le unghie.

Tra Pisco e San Juan de Marcona, la 40ma Dakar continua a scendere verso Sud lungo la dorsale del Pacifico. È uno spettacolo unico, i paesaggi sono stupendi, la natura esplode meraviglie sensazionali, ma ci sono anche terreni duri, ingrati, che Marc Coma & Co. hanno scelto a bella posta e con grande cinismo (buono) per rendere infernale la vita dei Dakariani. Sensazioni e dejà vu che fanno parte della Storia e che nessuno rinnega ma, certo, il risultato è quello di una edizione anniversario spietata. Tiriamo una riga e diciamolo subito: la Dakar è questa!

Hanno vinto Sam Sunderland (KTM), Nasser Al Attiyah (Toyota), Ignacio Casale (Quad Yamaha). Cose già viste. Ha vinto l’IVECO, l’Elefante del Deserto Italiano dell’argentino Federico Villagra, e questa volta si tratta di un inedito, di una magnifica prima volta. Purtroppo nella terza Tappa hanno perso in molti, in alcuni casi disastrosamente. Non so se iniziare dalle Macchine o dalle Moto. Stiamo dalla parte della cronologia e occupiamoci del disastro combinato da Joan Barreda. Il ragazzo è forte, il più veloce di tutti quanti, ma pare che non ce la faccia neanche questa volta. Partito con un polso dolorante, non troppo ma si sà, andare in moto è una cosa che si fa bene solo se si è al 100%, Barreda ha corso fino alla terza tappa, quasi compresa, come da manuale. Calmissimo il primo giorno, fortissimo il secondo, ed era in testa. Come da copione doveva aprire la pista, ma lo ha fatto così bene, sui 300 chilometri della terza Tappa da Pisco a San Juan de Marcona, che nessuno è riuscito ad a andare a prenderlo. La gara perfetta… fino a 20 chilometri dall’arrivo, quando di fronte a un bivio non evidente il catalano ha preso la strada sbagliata. Il deserto di Ica è particolare. Aperto, molto ampio e con un’infinità di piste. Porta all’errore, perché è facile scegliere una pista divergente solo perché è più battuta, o meno ripida. E poi resta uguale da tutte le parti, cosicché quando Barreda si è reso conto dell’errore aveva già buttato una ventina di minuti al vento.

Adesso non c’è molto da scegliere. Barreda crolla dal primo a quattordicesimo posto. Per vincere deve recuperare due minuti al giorno. Il polso continuerà a fargli male. Prima resisteva volentieri e ha dimostrato che poteva convivere in maniera eccellente con il fastidio, adesso magari gli darà anche… sui nervi. La velocità Joan ce l’ha, ha bisogno di un po’ di fortuna, e di quella Squadra, fatta attorno al Pilota, che riesca finalmente a lavorare solo per il suo Pilota, in modo autonomo e in modo da essere il resto della componente. Naturalmente Barreda dovrà vedersela con il fronte della Dakar più interessante che si possa immaginare. Nella prima dozzina di classificati a San Juan de Marcona ci sono 4 Marche, otto nazionalità, quattro tra vincitori e piazzati alla Dakar e 3 Campioni del Mondo. Almeno la metà di questi può vincere e nessuno sembra davvero un secondo livello. Gara bellissima. Tornando a Barreda, sarà interessante vedere, senza pregiudizi, dove riuscirà ad arrivare, e tenere presente che lo spagnolo la sua lepre ce l’ha in quel Benavides che involontariamente cerca di fargli ombra nel Team e che è, adesso, secondo ma non distante alle spalle dal leader e detentore Sam Sunderland.

Barreda crolla dal primo a quattordicesimo posto. Per vincere deve recuperare due minuti al giorno. Il polso continuerà a fargli male

Oggi una macchina è andata a fuoco, la Toyota dell’argentina Alice Reina, mandando in fumo un sogno nel più brutale dei modi. Alice, in lacrime, ha detto che tornerà. In mattinata il motociclista ceko Klimciw è caduto poco dopo il timbro e ha chiuso la sua Dakar sull’elicottero medico, e in ospedale ci è finito anche Joan Roma, per uno strano incidente. Sembra che Nani abbia perso conoscenza sbattendo la testa dopo un salto, e che quindi abbia continuato a premere sull’acceleratore con la Macchina fuori controllo. Il navigatore, Alex Haro, ha tirato il freno a mano e aperto il contatto di accensione, ma la macchina è andata in tonneau varie volte. L’Equipaggio ha saputo riparare e concludere la Speciale, ma subito dopo i medici hanno spedito il vincitore del 2004 in Moto e 2014 in Auto in ospedale, dove per fortuna pare non si siano riscontrati danni particolari al testone del nostro amico. In bocca al lupo Nani, rientra presto.

Non a questo giro, tuttavia, e per lo Squadrone Mini quella ancora in corso pare essere una Dakar in un vicolo cieco. Fuori Menzies, in regime di forfetaria Garafulic e Al Rajhi, restano in qualche modo in gara l’argentino Terranova e il polacco Przygonski. Hirvonen è retrocesso al 20 posto e non si sa ancora in che modo potrà continuare. Una disfatta. Ma Sven Quandt non ha colpa, certo. La colpa è della Dakar.

Certo è meglio avere una Macchina aggiornata. Le cose vengono meglio. Non più facili ma meglio. Nasser Al Attiyah ha ripreso a correre forte, molto forte, ha vinto la tappa e tiene giù dal podio Sébastien Loeb. In questo modo la nuovissima Toyota Hilux fa bella figura, Pilota e Marca dimostrano di meritare il titolo di “Avversario” e di potersi infilare tra le maglie strettissime della rete Peugeot. La differenza di comportamento e di attitudine, e a questo punto anche di strategie tra i Team Toyota Gazoo e Peugeot Sport è notevole. In questo momento Nasser è nettamente svantaggiato, e non solo perché al comando del Rally è tornato il più grande di tutti, Stephane Peterhansel. Nasser è da solo contro una Squadra di fuoriclasse con la Macchina regina. Ten Brinke e Giniel De Villiers, bravissimi, basano la loro corsa su altre chiavi tattiche. Da un punto di vista psicologico il Principe del Qatar non ne risente. Non è nuovo a correre in solitario, e la sua strategia, logica e dimostrata fino alla conclusione della terza tappa, è la più semplice e rischiosa: attaccare. Ma la grande differenza, a questo punto, la stanno facendo proprio le Macchine e non i Fuoriclasse. Basta vederle passare per rendersi conto che le Peugeot continuano ad avere una marcia in più e possono puntare più che sulla velocità sul ritmo, sul passo, di gran lunga il “metodo” più redditizio per domare una Dakar, soprattutto se difficile e insidiosa come dimostra di essere questa strana, bella, evocativa edizione.

La nuovissima Toyota Hilux fa bella figura, Pilota e Marca dimostrano di meritare il titolo di “Avversario” e di potersi infilare tra le maglie strettissime della rete Peugeot.

Cerchiamo italiani. Botturi dove sei? Cerutti que pasa? Camelia que haces? Siamo in ribasso, ma sotto un certo aspetto è molto meglio starsene così “tatticamente” tranquilli aspettando tempi migliori. Certamente torniamo volentieri sulla corsa di Eugenio Amos, nostra speranza assoluta, che con il non nuovissimo buggy di Gache continua letteralmente a strabiliare. Ancora una tappa eccellente, e “siamo” al tredicesimo posto.

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