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Dakar 2017. Tappa 12: Si va incontro all’epilogo Sunderland e “Peter”, oppure Loeb?

Gen 14, 2017
Dakar 2017. Tappa 12: Si va incontro all’epilogo Sunderland e “Peter”, oppure Loeb?

Rio Cuarto, Argentina, 13 gennaio 2017. Hanno riammesso Stefan Svitko, non si poteva privare un Pilota della sua chance logica, non hanno potuto farlo con Ricky Brabec, non c’erano gli estremi per forzare un regolamento in ogni caso viziato da un eccesso di zelo. Barreda stava per cedere a Michael Metge una vittoria importante, ma il francese ci ha pensato da solo a ridimensionare la sua stupenda giornata incappando in una penalità. Van Beveren ha cercato e ottenuto il riscatto a uno dei peccati più veniali della Dakar, sbagliare strada, e ritorna prepotentemente in corsa per il podio adesso occupato dal fenomenale Gerard Farres. Anche in questo caso la distanza tra i due contendenti per la terza piazza della Dakar Paraguay-Bolivia-Argentina 2017 è esigua, e influenzata dall’ennesima sanzione. Una Dakar senza tregua e incapace di concedere una sola indulgenza, che non fosse legata ad un vizio degli organizzatori, come non si è mai vista. La Gara delle Moto è aperta solo per il terzo posto, e la sua dinamica finale e possible è circoscritta a un unico rovesciamento di fronte nella corsa al terzo posto. Bravissimo Farres, uno che sa andare forte, che è rapido come pochi quando la competizione esige velocità, ma che sa controllare l’indole aggressiva al punto da regolare il suo chip in funzione di un risultato complesso e più lontano, dalla forma inimmaginabile. E molto Bravo Van Beveren, un Campione che viene da un mondo parallelo, per certi versi vicinissimo alla natura della Dakar, per tutti gli altri distante una galassia. Il suo terzo posto potrebbe essere un contatto logico tra due realtà, nella consapevolezza che il risultato di oggi, ancora aperto, rispecchia comunque una realtà interessantissima.

Non ci sono altre novità, non ce ne devono essere. Anche oggi la Dakar ha voluto la sua Testa. Ora basta! Ivan Cervantes è fuori, ecco un risultato che non rispecchia esattamente valore espresso e potenziale. Comunque un capitolo da riaprire. Come sempre tra un anno.

Sam Sunderland è prontissimo a dare alla sua carriera il senso compiuto costruito in due settimane di gara pressoché perfetta. Non doveva fare più niente, l’inglese non deve fare più nulla se non lasciare correre la sua KTM e scivolare incontro ad un’evoluzione della sua Storia che solo un anno fa sembrava inibita. E allo stesso modo non può fare nulla Walkner, tornato a galla in questa Dakar difficile e sospesa più volte al filo di una ragnatela, ma non in grado di prendere in mano il copione della 39ma edizione per riscriverne il finale. Non c’è più una Honda nel paradiso dei beati, ma la loro presenza a ridosso dell’olimpo segnala a gran voce che la Dakar non ammette errori di alcun genere, neppure quelli tanto veniali da poter essere gestiti, in un altro mondo, con il piglio del gentiluomo. D’altra parte, la passione per le regole crea talvolta più malumori che soluzioni definitive e convincenti.

Sam Sunderland è prontissimo a dare alla sua carriera il senso compiuto costruito in due settimane di gara pressoché perfetta

Mancano sessanta chilometri, l’ultima Speciale che descrive un anello che si apre e si chiude attorno al bivacco di Rio Cuarto. Una bella idea, la prima volta che la Dakar lascia intendere di voler parlare con il pubblico che ne acclama i Campioni, che suggella il patto tra lo Sport e il grande evento in una disciplina che, generalmente, può attingere solo dal passato. Poi la passerella finale torna nello schema del delirio di asfalto e trasferimenti che questa Dakar ha somministrato ai suoi adepti. Ci piacerebbe sapere se Christo sarebbe in grado di confezionare una passerella in una ciclabile inscatolata tra due città distanti oltre seicento chilometri, altrimenti l’artista è uno solo. In ogni caso è la più lunga installazione di un’opera d’arte dell’irragionevolezza che la Dakar così confezionata ha tentato di dipingere e di spacciare per arte. Smettete, per piacere, di pensare al meteo, alle alluvioni, agli imprevisti e ai cataclismi, smettete soprattutto di scimmiottare i francesi del “Cest le Dakar!” Altri tempi.

La gara della auto presenta il programma di un finale ben più interessante, comunque vada a finire. I presupposti, comunque, sono spiegati dall’ironia di Nani Roma, il mio idolo multipurpose. Nani spiega che il quarto posto normalmente non è quello che preferirebbe in una circostanza agonistica qualsiasi, ma non in questo caso. Essere quarti porta un sacco di svantaggi. Essere fuori dal podio, non credere nei propri mezzi o non riuscire a fare quel piccolo sforzo in più. Joan spiega che la galassia della Dakar si è espansa, e che questa circostanza gli regala un Titolo singolare. Il quarto posto di questa Dakar vale, infatti e secondo il catalano vincitore in Moto e in Auto in un arco di dieci anni, il primo posto tra gli “umani”.

Non umani, disumani voleva dire Nani? O Marziani? Senz’altro buona la seconda non c’è bisogno di chiedergli conferma, si sta parlando di Peugeot.

Allora parliamone francamente. Peugeot ha già portato a termine una missione che solo due anni fa poteva sembrare tanto impossibile quanto presuntuosa, arrogante perfino per i codici più astrusi del marketing e della comunicazione. Poi Bruno Famin, un giorno troppo vicino a quello dell’esordio se si da retta alle statistiche, ha tolto il Trofeo dalle mani di Stephane e lo ha alzato al cielo. Peterhansel l’aveva conquistato contestualmente al dodicesimo successo personale, Famin se l’è portato a casa. Pensate al valore di un gesto di così normale scorrettezza riflesso del valore che quel Trofeo rappresenta. Certamente non è per questo, non per poter portare a casa sua il dodicesimo Trofeo, che rappresenta da molto tempo l’obiettivo ritenuto finale, che Peterhansel si è presentato al via disposto a vincere anche questa Dakar. Ma altrettanto sicuro è che adesso, a sessanta chilometri dalla fine della 39ma edizione, l’epilogo può mettere pace tra i salotti di Famin e del suo fuoriclasse.

Ecco perché ci si distrae dal primo, e già pronto per la cascina, record e obiettivo di questa Dakar. Tre Peugeot 3008DKR sono sulla stessa rampa di lancio del gran finale. Peterhansel, Loeb, Despres. Innanzitutto c’è da sprangare la porta d’accesso al podio, che è stato posizionato al centro di Buenos Aires nell’area del’Automobil “Clube”. Operazione a cui si è destinato Despres. Il suo terzo posto, che poi è anche il terzo di Peugeot, è oggi protetto da una mezz’ora di vantaggioe dalla “resa” filosofica di Nani Roma.

Per i primi due posti il Boss del Team Peugeot Totale e padre della 3008DKR figlia della 2008DKR avrebbe l’occasione d’oro per citare e riproporre una delle azioni più leggendarie e riconosciute della Dakar, il lancio della monetina. Peccato che oggi, che siamo tutti più difficili e moralisti, far scegliere al fato il vincitore del Rally sarebbe visto come un atto di inopportuna sopraffazione. Famin non è di questa pasta, infatti mangia salsicce mentre i suoi Equipaggi ascoltano il briefing per dare loro la massima libertà d’azione pur continuando a controllarne i movimenti, e seguirà la sua filosofia originale lasciando che decidano da soli le sorti delle rispettive gare. Poi, però, viene in aiuto ai “suoi” chiedendo il piacere di portare le tre 3008DKR a Buenos Aires, sulle loro ruote e in buone condizioni. È la raccomandazione, intrisa di messaggi, che, così, viene dal padre prima che dal padrone.

Peterhansel o Loeb? Io non ho dubbi, un Motociclista è sempre più veloce di un “autista”, ma sarebbe come dire che la Clinton non aveva scampo perché era già stata battuta dalla Levinsky. Nonsense, insomma.

Mi aspetto che vada in scena un duello. Molto sottile e basato sui diversi tagli di una sola eleganza. Più concentrato sul raccogliere al volo una piccola opportunità che sull’andare a costruirla con i termini “classici” della sfida. Certamente questa è la guerra di due mondi, ma vedrete che alla fine la sua logica finale sarà ancora di questo a cui apparteniamo. Della Dakar 2017, in ogni caso, si parlerà a lungo, lasciamole l’impressione che la sua ultima parola siano questi sessanta chilometri tra Rio Cuarto e Buenos Aires.

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