DAL 4 MAGGIO
Mondo del commercio in rivolta contro la decisione del governo di posticipare la riapertura. Piccoli imprenditori e commercianti alzano bandiera bianca e consegnano le chiavi dei loro locali nelle mani dei sindaci
di Andrea Carli
30 aprile 2020
3′ di lettura
All’indomani dell’annuncio della tabella di marcia per le riaperture delineata dal governo con il Dpcm del 26 aprile, in vista della cosiddetta “fase 2”, nel mondo del commercio è scattata la rivolta. Si è parlato di «danni gravissimi» provocati dalla decisione del governo di posticipare la riapertura della maggior parte dei negozi al 18 maggio e di bar, ristoranti e altri esercizi commerciali quali estetica e parrucchieri al primo di giugno. E c’è anche chi quantifica in diversi miliardi di euro le perdite conseguenti alle nuove misure. Secondo Confesercenti il prolungamento del lockdown determinerà un’ulteriore batosta da 10 miliardi per le imprese del settore.
È la protesta delle categorie che non potranno riprire il 4 maggio. Per decisione del Governo, non faranno parte di quei quattro milioni e mezzo di persone che, secondo le stime dell’esecutivo, dopo il lockdown torneranno a lavoro. Ambulanti, ristoratori, baristi, parrucchieri, estetisti: dovranno attendere il loro turno. Lavoratori autonomi e dipendenti che il 4 maggio resteranno ancora fermi ai blocchi di partenza. Con conseguenze pesanti dal punto di vista economico. Piccoli imprenditori e commercianti alzano bandiera bianca e consegnano le chiavi dei loro locali nelle mani dei sindaci.
Ambulanti: in vista perdita di oltre 10 miliardi di euro
Allo stato attuale il comparto di vendita su aree pubbliche non rientra nella lista dei codici Ateco delle attività di commercio al dettaglio che, secondo il Dpcm del 26 aprile, potranno riaprire dal 4 maggio. Per mercati e fiere si profila uno scenario difficile. Fiva-Confcommercio, la federazione italiana dei venditori ambulanti, lancia l’allarme: se non si riapre entro luglio, seppur con gradualità e rispettando tutti i protocolli sanitari, il settore rischia una perdita di oltre 10 miliardi di euro e la chiusura definitiva di 60 mila imprese, cioè un terzo del totale. Il settore delle attività di commercio su aree pubbliche conta 176 mila imprese con circa 400mila tra titolari, dipendenti e collaboratori su un totale di 183 mila. Allo stato attuale, dunque, non si sa quando gli ambulanti potranno tornare a lavorare.
A rischio il 25% dei parrucchieri
Nel piano del governo parrucchieri ed estetisti dovranno aspettare il primo giugno. Secondo Cosmetica Italia, l’associazione delle imprese cosmetiche in Italia, dopo più di un mese di chiusura a seguito dell’emergenza coronavirus «il 25% dei parrucchieri rischia di scomparire per sempre», ha sottolineato il presidente Renato Ancorotti. L’attività di acconciatori e centri estetici genera un volume di affari che supera i 6 miliardi di euro e impiega oltre 263.000 addetti in 130.000 saloni. Il 90% delle 130.000 imprese è costituito da unità con 2 persone occupate in media, capaci di generare fatturati e margini appena.
Ristoratori: in fumo un terzo del giro d’affari 2019
Nella tabella di marcia delineata dall’esecutivo i ristoranti dovranno attendere giugno per riaprire. Secondo la Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) il comparto della ristorazione (che comprende anche pizzerie e bar) ha perso fino a oggi 34 miliardi, un terzo del giro d’affari registrato lo scorso anno. Federcuochi non ha dubbi: «Rinviare la riapertura al 1 giugno significa far morire la ristorazione già agonizzante dopo mesi di mancati incassi. È il colpo di grazia ad un comparto che produce un indotto miliardario per tutto il Paese e che non riesce più a sostenere questo fermo». Coldiretti punta il dito sulla prolungata chiusura forzata di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi che, afferma, «ha un effetto a valanga di 5 miliardi sull’agroalimentare per mancati acquisti in cibi e bevande». Un allarme cui fa eco anche quello di Filiera Italia secondo cui sono in pericolo i 320 mila locali che oggi danno lavoro a oltre 1,2 milione di persone e allo stesso tempo il 30% del fatturato dell’agroalimentare.