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Da Lucrezio al 2023: Nobel per la Fisica per Agostini, Krausz e L’Huillier

Ott 3, 2023

Nel canto secondo del De Rerum Natura, l’opera maggiore di quel geniale poeta dell’atomismo epicureo che fu Lucrezio, troviamo descritto il moto perenne e velocissimo degli atomi, a fondamento della materia e di ogni fenomeno naturale. Questo moto, per gli antichi atomisti, era il responsabile sia della formazione di ogni oggetto sensibile, sia delle trasformazioni interne di quello, attraverso un continuo riarrangiamento di quelli che oggi chiameremmo legami chimici a formare aggregati diversi e in perenne mutamento.

Da questa visione poetica sono passati due millenni, ma un punto è rimasto valido ancora oggi: per comprendere l’evoluzione interna dei sistemi fisici, chimici e biologici, è indispensabile dotarsi di strumenti di analisi che possano riuscire a cogliere la dinamica di tale evoluzione, ovvero le trasformazioni dei costituenti elementari della materia nel tempo. 

Per capire quale sia la ragion generale di questo fatto, ricorrerò a una metafora. Il lettore immagini di osservare l’inizio e la fine di un film, osservando un video a intervalli di tempo di due ore. Per sapere come dalle premesse si è arrivati alle conclusioni, come cioè dalla prima scena si giunga al finale, egli avrebbe ovviamente bisogno di osservare lo stesso fenomeno – lo svolgimento del film – a intervalli di tempo più ristretti, in modo da cogliere tutto lo sviluppo della trama, quella che in fisica sarebbe la dinamica del fenomeno osservato. In particolare, se osserviamo senza interruzioni il film, stiamo campionando le immagini su uno schermo a una velocità di circa un decimo di secondo, che è la velocità massima a cui lavora il nostro occhio e a cui percepiamo come fluido il passaggio fra due fotogrammi distinti. Questa “velocità di scansione” del nostro occhio ci consente di cogliere la trama del film, cioè la dinamica del fenomeno rappresentato, con un dettaglio sufficiente ad ottenerne il livello di comprensione cui siamo abituati.

Ma a quale velocità si svolge il “film” dei moti atomici e subatomici, cui si riferivano già gli antichi filosofi e a cui devono lavorare gli scienziati moderni, per poter osservare quel film e capire qualcosa delle trasformazioni della materia che intendono documentare? 

Benvenuti nel mondo degli attosecondi: questa è la risoluzione temporale di cui abbiamo bisogno per osservare quel tipo di “film”, ovvero per studiare i processi dinamici che coinvolgono gli elettroni. Si tratta di una velocità vertiginosa: nel tempo in cui possiamo contare un secondo, sono passati un miliardo di miliardi di attosecondi, durante i quali un elettrone ha potuto completare una quantità immensa di processi dinamici – di “film”, per rimanere in metafora – dato che la scala temporale tipica dei processi dinamici che lo coinvolgono è di 150 attosecondi, ovvero circa il tempo di rotazione di un elettrone sulla prima orbita di Bohr di un atomo di idrogeno. L’osservazione di questi processi elettronici – la “visione” di questi rapidissimi “film” – è prezioso perché è lo strumento che consente lo studio dettagliato di molti processi fondamentali, tra cui il trasporto dell’informazione e le trasformazioni della materia, che hanno come vettori privilegiati gli elettroni (attraverso i trasferimenti di carica, di energia, eccetera).

Fino a non molto tempo fa, nessuno strumento di misura era in grado di risolvere stati distinti della materia alla scala temporale sufficiente; ci si era arrivati vicino, grazie alla produzione di impulsi di luce laser della durata del femtosecondo (1 milionesimo di miliardesimo di secondo), con cui i ricercatori hanno potuto cominciare a studiare la dinamica di vibrazione delle molecole che compongono tutta la materia ordinaria, ma la dinamica degli elettroni, che come abbiamo detto è alla base della maggior parte dei fenomeni di interesse in chimica, in biologia molecolare e nello studio delle proprietà dello stato solido, rimaneva fuori portata.

La porta per lo studio della maggior parte delle trasformazioni interne della materia era cioè, fino a non molto tempo fa, chiusa. Poi, grazie a una rivoluzione nel modo in cui si possono generare impulsi di luce ancora più breve, alla scala dell’attosecondo (un miliardesimo di miliardesimo di secondo), e investigare la loro interazione con i componenti più minuti della materia, elettroni inclusi, quella porta è stata spalancata, ed è iniziata l’era della “attofisica”.

Proprio come illuminando la materia e ricevendo la radiazione da quella riflessa costruiamo una immagine di essa e riceviamo informazioni sul mondo fisico, così illuminando con impulsi brevissimi la stessa materia a scala subatomica, e usando occhi elettronici in grado di percepire l’interazione di quegli impulsi con la materia stessa, possiamo esplorare e comprendere i processi ultra-veloci che avvengono all’interno di atomi e molecole, aprendo nuove porte per lo sviluppo innanzitutto della nostra comprensione della realtà, e poi di nuove applicazioni oggi inimmaginabili.

Siamo appena all’inizio della nostra esplorazione della vertiginosa ed intricatissima danza di particelle da cui sgorga il mondo fisico in cui siamo immersi; ma nulla sarebbe stato possibile, senza la testarda ostinazione degli scienziati nello studiare la possibilità di generare lampi di luce laser della durata più piccola mai ottenuta, oltre che modi per leggerne l’interazione con la materia. Proprio per la messa a punto delle idee necessarie allo sviluppo di questa tecnologia, quest’anno il Nobel per la Fisica va a Pierre Agostini, Ferenc Krausz e Anne L’Huillier, che hanno virtualmente esteso la velocità della nostra percezione ai tempi infinitamente piccoli necessari.

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