AGI – La variante B.1.1.529 del Sars-Cov-2 è stata isolata per la prima volta in Sudafrica il 23 novembre e tre giorni dopo è stata ribattezzata Omicron dall’Oms che ha avvertito come dai test preliminari presenti “un rischio accresciuto di reinfezione”. Le mutazioni si sarebbero sviluppate in un paziente immunodepresso perché malato di Aids e la variante si è poi diffusa con un significativo aumento dei contagi nella provincia sudafricana del Guateng, quella di cui fanno parte Pretoria e Johannesburg. Il primo campione, però, sarebbe quello raccolto l’11 novembre nel Botswana.
Le mutazioni
La variante presenta 32 mutazioni nella proteina spike con un profilo genetico sfavorevole, più del doppio di quelle della variante delta. Il sistema immunitario potrebbe quindi non riconoscere la proteina spike modificata da omicron, ‘bucando’ così l’azione protettiva degli anticorpi sollecitati dal vaccino.
Contagiosità
Non è ancora chiaro se si tratti di una variante più facilmente trasmissibile ma i primi dati sembrano indicarlo: in Sudafrica si è passati dai 273 casi giornalieri del 16 novembre agli oltre 6mila del 27 novembre, oltre l’80% dei quali nella provincia di Gauteng dove l’indice Rt e all’1,93%.
Pericolosità
Non è chiaro a oggi se questo ceppo avrà maggior capacità di provocare una malattia grave. Abbiamo di fronte una mutazione a più rapida diffusione e, anche se non fosse più letale, moltiplicando i contagi provocherebbe matematicamente un aumento dei casi gravi e dei decessi.
I vaccini
La presenza di mutazioni nelle regioni della proteina Spike riconosciuta dagli anticorpi o dalle cellule T linfocitarie potrebbe ridurre parzialmente l’efficacia dei vaccini, ma serviranno ulteriori studi. Sarà comunque possibile aggiornare i vaccini sfruttando la maggiore versatilità di quelli nuovi, costruiti a partire da virus inattivati (Salk) o attenuati (Sabin). Un aggiornamento richiede circa sei mesi.
Le cure contro il covid
Gli scienziati ritengono che gli antivirali recentemente approvati come la pillola Merck saranno efficaci anche contro la nuova variante perché non prendono di mira la proteina spike ma impediscono al virus di replicarsi. Maggiori rischi per gli anticorpi monoclonali come la cura Regeneron, che prendono di mira parti del virus che potrebbero essere mutate.