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Cosa ci insegna il subentro di Telethon nella produzione di Strimvelis, il farmaco per curare la ADA-SCID

Set 13, 2023

Il dramma delle malattie cosiddette rare è il seguente: si tratta di condizioni che, come da definizione, colpiscono pochissimi individui, ma in cui generalmente la gravità è molto seria, spesso proprio in correlazione con la frequenza bassa – sono cioè condizioni per cui la sopravvivenza è bassissima e in ogni caso la menomazione è severa, così che la selezione naturale le ha rese molto poco abbondanti. Si noti bene: il termine “selezione naturale” che ho usato rivela qui tutto il suo peso sinistro, ben compreso da Darwin: quasi sempre tendiamo ad immaginare che si tratti di un meccanismo che premia i migliori, ma in realtà la sua vera e molto più comune natura è quella di colpire senza pietà i soggetti con alterazioni importanti della normale fisiologia.

 

Nella nostra economia di mercato, in generale questo significa che occuparsi dei pazienti di malattie rare è impossibile per un’azienda: i costi di sviluppo di una terapia sono i soliti, ma la remunerazione, proprio a causa del bassissimo numero di pazienti, è di entità così scarsa ce ben difficilmente si potrà ottenere non dico un guadagno, ma anche solo un pareggio delle spese di sviluppo e produzione. Allo stesso tempo, le malattie rare sono diversissime e corrispondono a migliaia di condizioni: questo fa sì che, nel complesso, se si usa la definizione standard per tali condizioni, una percentuale della popolazione mondiale compresa fra il 3.5% e il 5.9% è affetta da una malattia rara, ovvero fino ad oltre 474 milioni di persone.

Dunque, ecco la tragedia: un numero elevatissimo di persone, fra cui una larghissima percentuale di bambini, è affetto da migliaia e migliaia di diverse patologie che avrebbero ciascuna bisogno di sviluppare una specifica e particolarissima cura, la quale, però, dal punto di vista finanziario non produrrà altro che costi in un’economia di mercato, ragion per cui assistiamo ogni anno ad abbandoni sempre più frequenti della produzione di farmaci specifici, persino quando questi sono ormai autorizzati sul mercato.

Fino ad oggi, si è tentato di rendere appetibile o quanto meno non così onerosa la produzione e la vendita di questi farmaci, sia rimborsandoli generosamente con il denaro del contribuente, sia abbattendo i costi della ricerca, sostenendola al di fuori delle imprese, soprattutto attraverso organizzazioni no-profit dedicate; ma la polverizzazione del mercato, dovuta alla molteplicità delle patologie interessate, è tale che comunque le farmaceutiche sono sempre meno interessate e sempre più abbandonano il campo.

Per esempio, nel 2016, dopo 20 anni, il primo farmaco approvato al mondo di terapia genica ex vivo (che prevede cioè la correzione genica al di fuori dell’organismo), interamente sviluppata in Italia dall’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano, fu portato sul mercato grazie a un accordo pubblico-privato con GlaxoSmithKline (GSK). Il farmaco in questione è Strimvelis, e serve a curare in maniera definitiva, attraverso la terapia genica, una terribile condizione di deficienza totale del sistema immunitario chiamata ADA-SCID.

Già due anni dopo l’approvazione per il mercato, nel 2018, GSK trasferì la licenza del farmaco ad Orchard Therapeutics; ben presto anche questa azienda, nonostante il prezzo rimborsato sia ben alto (594000 euro, come da Gazzetta Ufficiale dell’anno scorso), si è tirata indietro, annunciando il 30 marzo 2022 di voler disinvestire per la mancanza di sostenibilità economica di Strimvelis. Questo, naturalmente, avrebbe significato la fine per quei 4-5 pazienti annui curabili unicamente con Strimvelis, perché non trapiantabili per mancanza di donatori, se non fosse intervenuto un fatto nuovo, che merita di essere esaminato perché apre uno spiraglio per la soluzione del più generale problema della non sostenibilità di mercato delle terapie per malattie rare.

La fondazione Telethon, che abbiamo visto ha supportato lo sviluppo del farmaco, ha richiesto e ottenuto l’autorizzazione alla produzione e alla commercializzazione di Strimvelis; la Commissione Europea ha infatti approvato il trasferimento a Telethon dell’autorizzazione all’immissione in commercio in Europa della stessa terapia. I pazienti che ne hanno bisogno per la loro stessa vita, quindi, non perderanno l’accesso a Strimvelis, per quanto pochi siano.

Ottenere questo risultato non è stato affatto semplice, anche perché non vi sono precedenti nel mondo. Per prima cosa, è stato necessario cambiare lo statuto della fondazione per includere fra le sue attività anche la commercializzazione di farmaci, il che, per un ente no-profit, non è per nulla un passaggio scontato. Il Ministero del Lavoro ha approvato questo passaggio sulla base del fatto che Telethon ha potuto dimostrare come i guadagni che deriveranno dall’operazione saranno nulli o molto pochi, e saranno comunque interamente reinvestiti nel finanziamento della ricerca scientifica nazionale. Allo stesso tempo, Telethon ha dovuto dotarsi delle procedure e dei sistemi di controllo della produzione e della distribuzione di un farmaco tipici di un’azienda, inclusa la farmacovigilanza, per ottemperare alla normativa del settore; anche questo un passaggio non scontato, che è stato tuttavia a tempo di record completato. Fortunatamente, l’officina farmaceutica per la produzione di Strimvelis era “a tiro” di Telethon, che ne dovrà assumere la supervisione e la responsabilità anche legale; ma certo anche questo passo, con le relative necessità di organico e regolamenti, non deve essere stato semplice.

Alcuni problemi, tuttavia, restano ben presenti.

Il San Raffaele resta l’unico centro al mondo autorizzato alla somministrazione del farmaco; questo significa costi per i pazienti che dovranno raggiungerlo da tutto il mondo, costi non sostenibili da Telethon per ovvi motivi. Né, del resto, si può pensare che Telethon provveda all’autorizzazione in altri paesi, aprendo centri in giro per il mondo e sostenendo i relativi costi; senza la struttura finanziaria di un’azienda farmaceutica, questo è semplicemente impossibile.

Infine, un discorso a parte meritano i costi dovuti al regolatore nel nostro paese: questi si aggiungono ai costi di produzione e somministrazione, ma invece di essere proporzionali al fatturato (che probabilmente sarà nullo), consistono in una tariffa da centinaia di migliaia di euro da versare annualmente ad EMA, come se Telethon – una Fondazione no-profit, che vive di donazioni – fosse una grande azienda.

Il farmaco è stato salvato, e Telethon ha agito per conto di tutti coloro a cui la sorte di un bambino affetto da una malattia rara non è indifferente; è ora, adesso, di sviluppare ancor meglio la strada indicata, intervenendo in maniera organica con risorse dello Stato e con una legislazione innovativa, che permetta di sostenere il costo di cure quando questi costi non si ripagano sul mercato, senza aspettare che oggi Telethon, domani chissà chi, metta una toppa, volta per volta, per rimediare alle storture del sistema economico in cui tutti viviamo.

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