Occhio al grafico dell’elefante. Nel presentare il rapporto del CsC, il direttore Luca Paolazzi non ha mancato, per dar conto di una causa importante dell’incertezza politica e dei venti populisti, di far riferimento al famoso grafico dell’economista Branko Milanovic su vincenti e perdenti della globalizzazione.
In un lavoro per la World Bank l’esperto mette infatti sulle ascisse la popolazione mondiale in ordine crescente di reddito e sulle ordinate misura il progresso o declino di reddito tra il 1988 e il 2008. Se ne ricavano i destini di quattro gruppi: il primo gruppo (la parte finale della coda dell’elefante) quello degli esclusi e dei pi poveri che non riescono a partecipare dei benefici del mercato, il secondo (il dorso) quello delle classi medie emergenti dei paesi poveri ed emergenti, che traggono beneficio dalla crescita e dalle opportunit della globalizzazione, facendo concorrenza con salari pi bassi ai lavoratori non specializzati o poco specializzati dei paesi ricchi.
Nel terzo gruppo di reddito (la parte bassa della proboscide) compaiono infatti questi ultimi e la vecchia classe media dei paesi avanzati, che progressivamente s’impoverisce. Il quarto gruppo (la parte finale della proboscide rivolta verso l’alto) quello del top 1 per cento, dell’lite dei proprietari del capitale e di quanti occupano posizioni importanti nel settore finanziario, che ottengono vantaggi dalla globalizzazione. Certamente, soprattutto per spiegare ci che accaduto negli Stati Uniti, quindi assai utile quel grafico che mette in evidenza come il terzo gruppo abbia avuto la peggio. In pratica, il forte incremento di reddito ottenuto dalla Cina grazie alla globalizzazione ha finito con il favorire l’ascesa di Donald Trump.
Ma anche in Italia i segni di disagio sociale esistono e occorre tenerne conto, come ha giustamente sottolineato nel suo discorso d’insediamento il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e come ricorda il rapporto Csc (i 4 milioni e seicentomila poveri, in maggioranza giovani e abitanti del Sud, che sono aumentati del 157% rispetto al 2007). E se ha davvero poco senso economico rispondere con il protezionismo alle esigenze di chi si trova in difficolt, sembrano tuttavia urgenti e necessarie risposte politiche adeguate. Magari, come dice l’economista Dani Rodrik, garantendo “clausole di salvaguardia” ai perdenti del processo.
L’incertezza politica e delle politiche, del resto, riguarda da vicino anche i paesi di Eurolandia, per molti dei quali il 2017 un anno elettorale. E nell’eurozona, come rimarca l’economista Giancarlo Corsetti, non siamo ancora capaci di generare una stance di politica economica molto forte. Secondo il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Giuseppe Pisauro, tuttavia, la recente posizione a favore di una fiscal policy espansiva espressa dalla Commissione europea, se anche in questo momento appare di scarsa efficacia (difficilmente l’indicazione a spendere per fare pi investimenti pubblici verr legittimata dall’elettorato tedesco e olandese) va vista per come una posizione importante e coraggiosa. In essa, infatti, si afferma con chiarezza che, cos com’ ora, l’applicazione dei programmi nazionali di politica di bilancio ha un’intonazione tutt’al pi neutrale rispetto all’economia. Troppo poco, se al futuro dell’Europa si crede davvero.
© Riproduzione riservata