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Confcommercio, crollo dei consumi a marzo: -31,7%. Ad aprile previsto un calo del Pil del 13%

Apr 14, 2020

MILANO – Consumi in caduta del 31,7% a marzo rispetto a un anno prima e una contrazione del Pil che ad aprile potrebbe toccare il 13%. Sono alcuni dei numeri diffusi oggi da Confcommercio in uno studio sugli effetti del lockdown legato all’emergenza coronavirus. “Siamo in presenza di dinamiche inedite sotto il profilo statistico-contabile, che esibiscono tassi di variazione negativi in doppia cifra” si legge nel report in cui si segnala il crollo del turismo con un -95% degli stranieri a partire dall’ultima settimana di marzo; delle immatricolazioni di auto (-82%), delle vendite di abbigliamento e calzature (-100% per la maggior parte delle aziende non attive su piattaforme virtuali, di bar e ristorazione (-68% considerando anche il delivery a casa). Considerando l’intero trimestre il calo dei consumi secondo Confcommercio si dovrebbe attestare a -10,4% mentre il calo tendenziale del Pil dovrebbe essere del 3,5%.

Con qualche ritardo rispetto al depotenziamento repentino della domanda – evidenzia l’analisi – la produzione si è adeguata. Fiducia e indici di attività produttiva sono crollati in marzo, sommandosi alla scomparsa della domanda per consumi.

Per Confcomemrcio, i provvedimenti delle autorità nazionali e internazionali non possono modificare il profilo delle perdite di prodotto. Possono, però, mitigare notevolmente le perdite di reddito disponibile connesse alla riduzione dell’attività, trasformandole in larga misura in deficit pubblico e quindi debito sovrano. La strada prevalente in Italia è la riduzione degli impatti della crisi attraverso la concessione di abbondante liquidità a costi molto esigui. Sarebbe opportuno affiancare a questi provvedimenti una serie di indennizzi proporzionali alle perdite (al netto delle imposte potenzialmente dovute) subite dagli imprenditori e dai lavoratori. Senza lo strumento dei “trasferimenti a fondo perduto” si corre il rischio che l’eccezionale liquidità non sarà realmente domandata, almeno dai soggetti più deboli, lasciando ferite permanenti nel tessuto produttivo e rendendo meno vivace la ripartenza.

Il tema della ripresa quando l’Italia riaprirà è denso di incognite. Infatti, al termine dello scorso anno, non erano stati ancora recuperati i livelli di reddito disponibile e consumi – in termini reali – sperimentati nel 2007: le perdite ammontavano ancora rispettivamente a 1.700 e 800 euro per abitante. Insomma, detto senza giri di parole, oggi è necessario evitare che, dopo il coronavirus, la ricostruzione dei livelli di benessere economico, già depressi, del 2019, duri troppi anni. Il rischio è la marginalizzazione strutturale del Paese rispetto alle dinamiche internazionali dell’integrazione, dell’innovazione tecnologica, della sostenibilità e, in definitiva, della crescita di lungo termine. A pagarne il prezzo più alto sarebbero le generazioni più giovani.

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