Il premio Nobel per la Medicina è stato quest’anno assegnato a una scoperta che riguarda la biologia degli Rna.
Non si tratta, come titolano molti giornali, di un premio “per i vaccini mRNA anti Covid”, ma per i risultati ottenuti da due studiosi, la scienziata ungherese Katalin Karikó e il suo collega americano Drew Weissman, nel comprendere a fondo la ragione per un fenomeno apparentemente secondario che regola la nostra risposta immunitaria contro Rna e Dna circolanti; è questa comprensione di un meccanismo biomolecolare di base che ha poi aperto la strada a molte applicazioni, fra cui la produzione di vaccini a mRna efficaci contro il virus Sars-CoV-2.
Per comprendere di cosa si tratta, facciamo un passo indietro, all’inizio degli anni ’90, quando la bochimica Katalin Karikó era “assistant professor” presso l’Università della Pennsylvania. All’epoca, la scienziata faceva una gran fatica a reperire fondi per finanziare la ricerca sul tema che l’affascinava più di ogni altro: riuscire a “dialogare” con le cellule del nostro corpo, impartendo loro ordini “scritti” sotto forma di sequenze di Rna che, espresse nelle cellule bersaglio, producessero proteine in grado di influenzarne il comportamento nella direzione voluta, imitando gli “ordini” impartiti mediante mRna dal genoma cellulare nel funzionamento fisiologico di ogni organismo vivente. Nella sua nuova università, Karikó aveva trovato un collega interessato, l’immunologo Drew Weissman. Il suo interesse era rivolto alle cellule dendritiche, che svolgono importanti funzioni nella sorveglianza immunitaria e nell’attivazione delle risposte immunitarie indotte dai vaccini. Un dato cruciale da cui partì immediatamente la collaborazione fra i due scienziati era noto a Weissman: queste cellule specializzate del sistema immunitario possiedono degli speciali recettori di membrana, capaci di legare Rna e Dna circolanti nel corpo, attivando una risposta infiammatoria che impedisce agli stretti di veicolare la loro informazione genetica. Il nostro copro, cioè, è attrezzato per respingere potenziali informazioni genetiche esogene come segnale estraneo, in grado di scatenare la risposta immunitaria: questo perché Rna o Dna circolanti corrispondono in natura alla presenza di patogeni, la cui lisi rilascia tale materiale, o anche ad un processo di necrosi innescato da qualche patologia, che ne rilascia dalle cellule distrutte.
Tuttavia, i due scienziati erano a conoscenza anche di un paio di altri dati: gli Rna messaggeri dei mammiferi sono chimicamente modificati in molti modi diversi rispetto a quelli dei batteri, e inoltre si era osservato che mentre gli Rna prodotti in provetta o quelli dei batteri attivavano potentemente la risposta immunitaria mediata dalle cellule dendritiche, trascritti in vitro, o l’Rna totale derivato da batteri, così non accadeva quando l’Rna era stato prodotto in cellule di organismi superiori, come i mammiferi.
Mettendo insieme questi due pezzi, Karikó e Weissman ipotizzarono che la capacità di una cellula dendritica di riconoscere selettivamente Rna di possibili patogeni, attivando una risposta infiammatoria, fosse dovuta alle modifiche chimiche che bloccavano tale risposta se l’Rna proveniva da una cellula di mammifero; così, nel 2005, esaminando la moltitudine di modifiche presenti nell’Rna di mammifero e testandole sistematicamente, si accorsero che una speciale modifica molto abbondante nel nostro Rna messaggero “spegne” la risposta immunitaria contro l’Rna delle cellule dendritiche. Questa modifica corrisponde alla presenza di pseudouridina (nei mammiferi) invece di uridina (nei batteri): per questo, i due scienziati suggerirono che inserire in particolare pseudouridina negli mRna da somministrare per uso farmacologico li avrebbe protetti dalla reazione delle cellule dendritiche, sfruttando il meccanismo evolutosi in natura per evitare di attivare la risposta immunitaria ogni volta che una cellula muore nel nostro corpo: la morte cellulare è controllata così da inserire le modifiche in tutti gli Rna messaggeri prima che la cellula si disintegri.
A partire da questa scoperta cruciale, la tecnologia basata sull’uso di Rna per modulare le attività delle cellule che ci compongono è finalmente divenuta accessibile, dopo decenni dal momento in cui fu concepita: l’interesse per essa iniziò a crescere e nel 2010 diverse aziende stavano già lavorando allo sviluppo del metodo, per ottenere vaccini contro il virus Zika e Mers-CoV, ma anche contro diversi tipi di tumori, fino al vaccino contro Sars-CoV-2, che ha salvato decine di milioni di vite, e a quelli in arrivo contro tumori come il melanoma metastatico.
Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza la voglia degli scienziati di comprendere come facesse una cellula dendritica a distinguere un Rna batterico dal nostro: grazie a loro, abbiamo imparato ad usare il giusto “accento” chimico per parlare la lingua genetica compresa dalla cellule di cui siamo fatti, a testimonianza di quanto lontano possa portare la ricerca della conoscenza di base, scarsamente riconosciuta dai finanziatori che negavano i fondi alla Karikó all’inizio della sua carriera.