La ricerca
Le etichette che hanno avviato questo progetto di ricerca sono cinque: Castello Bonomi, Berlucchi, Ferghettina, Rocco Calino e Barone Pizzini. Una delle chiavi alla base del progetto Erbamat – spiega il docente di Viticoltura ed Enologia dell’Università Statale di Milano, Leonardo Valenti – è il marketing e il legame con il territorio
di Giorgio dell’Orefice
27 settembre 2019
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3′ di lettura
Nel mondo del vino, universo saldamente legato alla tradizione, spesso, i nuovi sentieri di sviluppo sono stati aperti grazie all’innovazione. Ed è proprio nel solco del binomio tradizione-innovazione che si muove l’iniziativa di un gruppo di imprese spumantistiche della Franciacorta (Brescia) che hanno avviato già da qualche anno una sperimentazione per recuperare un vecchio vitigno autoctono dimenticato: l’Erbamat.
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Una prima presentazione dei risultati di questa ricerca è stata fatta da Castello Bonomi, cantina franciacortina che fa capo al gruppo Paladin, azienda veneta che produce vini (1,5 milioni di bottiglie per un giro d’affari di 12 milioni di euro) in quattro tenute di Veneto, Friuli, Toscana (nel Chianti Classico) e appunto in Franciacorta.
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Le etichette che hanno avviato questo progetto di ricerca sono 5: Castello Bonomi, Berlucchi, Ferghettina, Ronco Calino e Barone Pizzini. «Il lavoro di ricerca va avanti da circa dieci anni anni – spiega Roberto Paladin, contitolare con il fratello Carlo del Gruppo di famiglia – e ha previsto prima la selezione dei vitigni tra un gruppo di varietà adatte alla spumantizzazione e poi quella dei cloni fino alla sperimentazione di diversi tipi di tagli delle uve Erbamat con il classico uvaggio della Franciacota di Pinot nero e Chardonnay».