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Come devono essere i funerali secondo il patriarca di Venezia

Feb 16, 2022

AGI – Basta con le canzoni o le poesie troppo estranee alla liturgia, niente più bandiere o simboli politici sulle bare, stop agli elogi della figura del defunto. Il funerale è una cosa seria, perché “la consegna dei propri cari a Dio esprime la fede e il legame della comunità cristiana con il Signore risorto, vincitore della morte”. Ultimamente, invece, “ci sono situazioni dove l’esperienza della morte passa quasi inosservata. Spesso i funerali diventano più un atto dovuto che una celebrazione con motivazioni spirituali e di fede”.

Sono queste alcune delle ragioni che hanno portato monsignor Francesco Moraglia, patriarca di Venezia dal 31 gennaio 2012, a firmare una Nota pastorale (di 24 pagine) sulle modalità di celebrazione delle esequie e sul significato che esse devono assumere agli occhi della Chiesa cattolica e dei credenti. E sì, perchè oggi “l’evento della morte è vissuto in modi diversi dai parenti dei defunti e dalle comunità cristiane“, e quindi è bene ricordare alcune regole di stile da osservare dentro e fuori la Chiesa.

“Nei giorni che precedono il funerale – spiega al primo punto il patriarca di Venezia – si conservi, ove possibile, la pia usanza di recitare il Santo Rosario, o di tenere in chiesa, o in un altro luogo adatto, una veglia di preghiera per il defunto”. “La preghiera prima della chiusura della bara all’obitorio, oppure in casa – è previsto al secondo punto -, si svolga, laddove è possibile con la presenza del presbitero o del diacono, oppure sia guidata da un altro ministro o da un fedele laico (eventualmente anche da un familiare) debitamente preparato”.

E ancora: “La celebrazione delle esequie sia guidata, da chi presiede, con calma, delicatezza e tatto, in modo tale che i riti, le parole, i canti e le preghiere siano arricchiti dalla fede, donino speranza e conforto senza urtare la sensibilità di chi è nel dolore”. Si passa poi alle regole da osservare durante la Messa esequiale “sovente partecipata da un’assemblea di persone che abitualmente non frequentano la celebrazione eucaristica”. Monsignor Moraglia suggerisce “una buona scelta di orazioni e letture. Pertanto si eviti di ricorrere ad altri testi non contenuti nei libri liturgici approvati”.

“Le letture – si precisa al punto 5 – non siano scelte per “celebrare” il defunto o descriverne la figura. La parola di Dio infatti ‘proclama il mistero pasquale, dona la speranza di incontrarci ancora nel regno di Dio, ravviva la pietà verso i defunti ed esorta alla testimonianza di una vita veramente cristianà”. 

Al punto 6 si ricorda che l’omelia deve essere “breve, ben preparata, evitando la forma e i contenuti della commemorazione e dell’elogio funebre”. “Le intenzioni della preghiera dei fedeli, nello spirito di autentica “preghiera universale”, abbraccino tutta la realtà ecclesiale e sociale, sapendo che troppo facilmente indugiano a più riprese solo sul ricordo del defunto. Qualora siano preparate dai familiari o conoscenti, questi le presentino per tempo al sacerdote, cosicchè possa eventualmente ordinarle e integrarle”, viene suggerito al punto 7.

Dal paragrafo 8 al 12, invece, il patriarca entra nel merito di quello che non andrebbe fatto nel corso delle esequie e che pare sia diventato una vera e propria moda. “Si curino i canti e siano eseguiti i più comuni che rispondano, per contenuto, alla fede professata – avverte Moraglia -; abbiano una melodia dignitosa e siano sostegno alla preghiera. Si eviti di escludere l’assemblea con canti di Messe da requiem, o con interventi di solisti, oggi non più adatti per l’idea teologica sottesa e per la melodia. Qualora i familiari richiedano esecuzioni di canti o musiche particolari, ma estranei alla liturgia, siano eseguiti al di fuori della chiesa alla fine della celebrazione”.

“Sul feretro – è detto a chiare lettere – non siano poste bandiere o simboli di riferimento politico. Per quanto riguarda i gagliardetti e i labari di associazioni, sono consentiti, ma in numero limitato, e disposti in modo che non ostacolino la visibilità dell’azione liturgica e dei luoghi in cui essa si svolge (ambone, altare, tabernacolo)”. 

“Particolare attenzione – punto 10 – si dedichi al momento dell’Ultima raccomandazione e del Commiato, da farsi dopo l’orazione dopo la comunione. è il rito dell’ultimo saluto della comunità al defunto e non un rito di purificazione. Questo momento ha un suo sviluppo rituale preciso: monizione introduttiva, silenzio, canto di commiato, durante il quale si fanno l’aspersione e l’incensazione girando intorno alla bara”.

“Eventuali parole di cristiano commiato nei riguardi del defunto – si precisa al punto 11 – si possono tenere prima di questo rito finale di saluto. Si può valutare opportunamente anche la possibilità di collocare interventi e messaggi prima che la celebrazione abbia inizio. In ogni caso essi non vanno pronunciati dall’ambone, ma da un altro luogo al di fuori del presbiterio. Questi i testi vanno previamente concordati con il parroco o il sacerdote celebrante e devono essere sobri e contenuti nel numero e nel tempo. In particolare si faccia attenzione alla lettura di poesie o pseudo preghiere, anche se ormai diffuse in rete, che riflettono ben poco l’autentico sentire cristiano davanti al mistero della morte”.

E poi il 12: “È importante che la celebrazione delle esequie non sia l’ultimo momento in cui le famiglie dei defunti siano accompagnate pastoralmente. Come già avviene in alcune parrocchie, è auspicabile invitare le famiglie per una Santa Messa di suffragio in occasione di alcune ricorrenze o fissando una celebrazione eucaristica settimanale per ricordare tutti i fedeli della comunità morti negli ultimi giorni”. 

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