La decisione dei Comuni di imporre limiti di velocità inferiori ai 50 km/h, come nel caso delle cosiddette città a 30 km/h, devono seguire un approccio ragionato e motivato. Su queste basi ha preso forma quella che è stata sin da subito chiamata la direttiva Salvini. Si tratta della disposizione ministeriale che colloca punti fermi sulla circolazione stradale e le soglie di velocità. Comprese le eccezioni rispetto al limite generale dei 50 km/h che, da adesso in poi, sono ammesse solo per aree specificamente delimitate. Per fare un primo esempio, possono essere giustificate deroghe temporanee al limite generale dei 50 km/h durante afflussi turistici in periodi di alta stagionalità o nel caso di flussi straordinari di traffico. In pratica, i Comuni devono motivare le loro decisioni e non possono applicare limiti di velocità a 30 km/h in modo arbitrario e senza giustificazioni.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fa sapere che questo approccio si basa sulla necessità di mettere a disposizione degli enti locali una piattaforma di regole comuni sulla regolazione del traffico con l’obiettivo da tutelare le primarie esigenze della collettività.
Cosa prevede la direttiva del MIT sulle città a 30 km/h
La direttiva ministeriale sulle città a 30 km/h fa seguito alle polemiche sulla ben nota ordinanza comunale del Comune di Bologna sull’abbattimento del limite di velocità (a 30 km/h, appunto) in alcune zone della città. Una decisione che ha provocato reazioni contrastanti, compresa l’opposizione di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, e analoghe posizioni in altri municipi italiani.
Il provvedimento ministeriale richiama altri interventi del MIT e sottolinea che l’imposizione di limiti di velocità inferiori alla soglia di 50 km/h non garantisce una maggiore sicurezza stradale. Questa presunzione, viene spiegato, è illusoria poiché l’esperienza dimostra che divieti non supportati da effettive esigenze tendono ad essere ignorati. In termini pratici, comporta una sottovalutazione della segnaletica orizzontale e verticale, anche per via dell’applicazione di sanzioni non troppo elevate.
La direttiva è stata trasmessa all’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e ai Ministeri competenti per definire linee guida chiare su come i Comuni dovranno gestire la questione.
Le eccezioni alla direttiva sulle città a 30 km/h
Eventuali deroghe al limite massimo di velocità, come ad esempio l’abbassamento a 30 km/h, dovranno da ora in poi essere definite in relazione a strade o specifici tratti di strada. Queste deroghe dovranno essere giustificate da particolari condizioni. La parametrizzazione assume quindi un ruolo fondamentale per garantire la regolamentazione del traffico.
Tra i casi in cui è possibile abbassare i limiti rientrano l’assenza di marciapiedi con elevato movimento pedonale, anormali restringimenti delle sezioni stradali, pendenze elevate, tracciati tortuosi tipici di nuclei storici e centri abitati antichi.
Altre motivazioni valide per l’abbattimento dei limiti sono la presenza frequente di ingressi e uscite carrabili da strutture come fabbriche, stabilimenti, asili, scuole, parchi giochi e simili. E ancora: pavimentazioni sdrucciolevoli o curve pericolose, specialmente in condizioni meteorologiche avverse sono anch’essi criteri che giustificano l’adozione di limiti inferiori per garantire la sicurezza stradale.
Il ruolo del Comuni nella definizione dei limiti di velocità
Il provvedimento di riduzione della velocità da parte dei Comuni richiede una motivazione dettagliata che evidenzi le condizioni che giustificano l’intervento. La giustificazione deve essere supportata da una valutazione dell’amministrazione competente che tenga conto del bilanciamento tra diversi interessi pubblici rilevanti. La direttiva fornisce esempi di motivazioni per la deroga ai limiti di velocità, tra cui:
tassi di incidentalità monitorati nel corso degli ultimi tre anni,
peculiarità nell’utilizzo del contesto urbano come la presenza di scuole, ospedali, aree verdi, esercizi commerciali di prossimità, o tratti stradali di collegamento con zone extraurbane o industriali, che indicano rispettivamente una maggiore o minore presenza di utenti vulnerabili;
caratteristiche peculiari del contesto urbano come la presenza di edifici storici o di interesse artistico, unità abitative residenziali, o zone a bassa densità abitativa;
esigenze temporanee legate a flussi turistici stagionali o eventi straordinari.
Questi criteri dovranno essere valutati e documentati dall’amministrazione competente al fine di fornire una motivazione valida e conforme alla normativa vigente per la riduzione dei limiti di velocità in città.
Resta viva la polemica con la città di Bologna
Nel dibattito tra Salvini e Matteo Lepore, sindaco di Bologna, l’assessora alla Mobilità del capoluogo emiliano, Valentina Orioli, ha ricordato che il piano per la sicurezza stradale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti identifica il limite di velocità di 30 km/h come una misura decisiva per la riduzione degli incidenti sulle strade urbane.
La replica indiretta alla sua affermazione è arrivata proprio con la direttiva nella parte in cui sottolinea la necessità di considerare le zone 30 non in modo assoluto e generale, ma piuttosto di prevederle in modo coerente e credibile nel contesto di una revisione della gerarchizzazione delle strade urbane.
E c’è già chi pensa di ricorrere al Tar del Lazio
A poche ore dalla diffusione dei dettagli e ricordando che altre città europee hanno da tempo avviato questa sperimentazione, la direttiva di Salvini sulle città a 30 km/h è già finita nel mirino delle associazioni dei consumatori.
Il Codacons in particolare, che chiede al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di ricevere gli elementi tecnici che giustificano la nuova direttiva sui limiti di velocità nei centri urbani. Questa richiesta precede la possibile valutazione di un ricorso al Tar del Lazio contro il provvedimento del Mit.
L’associazione in difesa dei diritti dei consumatori annuncia di voler comprendere le evidenze scientifiche su cui si basa questa conclusione ministeriale, considerando che studi precedenti avrebbero evidenziato benefici ambientali derivanti dalla riduzione della velocità a 30 km/h senza influire sui tempi di percorrenza degli automobilisti.
Un esempio riportato dal Codacons è quello dai dati dell’indice del traffico di TomTom, che mostra come la velocità media delle auto durante le ore di punta a Bologna si sarebbe già adattata ai nuovi limiti fissati dal sindaco della città felsinea nel 2023, attestandosi a 32 km/h. A detta del Codacons, limitare la velocità massima favorisce un flusso di traffico più uniforme e riduce le emissioni inquinanti legate alle brusche accelerazioni e decelerazioni delle auto.
In mancanza di trasparenza da parte del ministro Salvini riguardo alle basi scientifiche della direttiva – è la minaccia pubblica – sarà inevitabile ricorrere al Tar del Lazio per verificare la legittimità della decisione del MIT.