Tra i molti capolavori che costellano la produzione motociclistica mondiale, ci sono modelli che hanno raggiunto la popolarità grazie a linee estreme e un design discutibile. Pezzi che, dopo il forte impatto estetico e non sempre gradito a prima vista, sono diventati oggetti rari, fiaschi di mercato un po’ kitsch ai quali è difficile restare indifferenti. C’è il tempo però, che lima gli spigoli ai quali gli occhi non si abituano facilmente. A questo fattore si aggiunge il collezionismo, che trasforma gli insuccessi commerciali nei pezzi più pregiati per cacciatori di tesori e avventurieri di cantine e garage.
Affidate ai più importanti designer o concepite nei reparti di progettazione delle case costruttrici, sono opere che mostrano tutto l’esercizio estetico profuso, senza tenere conto di quanto possano piacere, risultando a tratti naif e disallineate dalla loro funzionalità principale.
Ma se queste moto raggiungono nuovo lustro e interesse grazie allo scarso successo di mercato che le ha rese una rarità, ci sono modelli estremi che puntualmente entrano nei listini ufficiali, secondo una precisa filosofia aziendale che punta a stupire con qualcosa di concettualmente diverso e, nelle mire di chi le produce, accattivante. Un panorama fatto di cartoline del passato e immagini del presente che ci raccontano quali sono alcuni dei più strani pezzi che compongono questo vasto mosaico.
Morbidelli 850 V
Morbidelli 850 V
Portava la firma di Pininfarina e all’epoca costava quasi cento milioni di vecchie lire. Basterebbero queste due informazioni per sbalordire chiunque, ma ad attirare l’attenzione furono sicuramente le sovrastrutture di questa moto, che lasciarono interdetti pubblico e addetti ai lavori. Giancarlo Morbidelli era riuscito nell’impresa di diventare uno dei migliori costruttori di moto da corsa vincendo, negli anni ’70, ben quattro titoli mondiali e aggiudicandosi la stima di team e piloti che gli chiedevano motociclette per gareggiare in tutte le categorie dei gran premi di velocità.
Conquistato il mondo delle gare, nel 1992 Morbidelli decise di produrre una sport tourer di alto livello e competere anche sul mercato delle moto di serie. Ne venne fuori un avveniristico motore V8 da 848 cc a 32 valvole che sviluppava una potenza di 120 Cv dichiarati a 11.000 giri. L’otto cilindri era molto compatto e la trasmissione finale a cardano era la configurazione ideale. Purtroppo, se la moto piaceva per la meccanica sopraffina e avveniristica, il look da sanitario che la ricopriva da metà moto in su era veramente meno accattivante di quanto sarebbe stato bello guidare un mezzo di questo tipo. La fredda accoglienza che ebbe anche la seconda versione datata 1994 fece tramontare definitivamente questo progetto troppo costoso e di difficile distribuzione.
Voxan Super Naked
Voxan Super Naked
Voxan è il marchio che negli ultimi mesi ha fatto parlare di se per aver stabilito con una moto da record dei primati di velocità insieme a Max Biaggi. Nel 2010 però, la casa francese ha sofferto di una forte crisi ed è stata liquidata, mandando all’asta molti pezzi tra cui un prototipo che non è mai andato in produzione ma, se fosse successo, avrebbe sicuramente sfidato i gusti estetici di molti, addetti ai lavori compresi.
Si chiamava Voxan Super Naked e come dice il nome, era una naked dalle super forme. Disegnata da Philippe Starck, che negli anni novanta aveva già firmato l’Aprilia Motò 6.5, si trattava di una moto estremamente concettuale. Doveva a vere un motore bicilindrico a V da 1200 cc capace di sviluppare 140 Cv di potenza e da quel propulsore, Starck aveva poi sviluppato i tratti di una moto essenziale in grado di avere tutto il necessario ridotto al minimo, come dichiarato all’epoca dallo stesso designer: “Creare una moto significa fornire un motore… e poi costruirci intorno la moto. Non siamo certo dei designer: non stiamo disegnando. Mettiamo il motore e poi cerchiamo di aggiungere solo il minimo indispensabile, quello che è funzionale. La moto poi si disegna da sola sulle basi. Con questo approccio siamo più ingegneri che designer“.
Il risultato ottenuto era una moto semplice, con forme rettangolari pulite in contrasto con le rotondità degli scarichi, delle ruote e dei parafanghi. Purtroppo non sappiamo se questa moto avrebbe ottenuto successo, almeno dalla critica e magari risollevato le economie di Voxan in quegli anni. Resta un modello unico in tutti i sensi, difficile da giudicare e molto naif per come concepito.
Honda DN-01
Honda DN-01
Costruita per ottenere l’incrocio ideale tra scooter e motocicletta, la Honda DN-01 scontentava entrambe le categorie di fruitori, tagliandosi fuori anche per il prezzo, che all’uscita superava gli 11.000 euro. In listino dal 2008 al 2010, era equipaggiata da un bicilindrico a V di 680 cc, regolato da un cambio di tipo sequenziale automatico.
La forma era molto simile a quella dei maxi-scooter, ma con una posizione di guida classica delle cruiser di grossa cilindrata. Molto carenata sul davanti e la colorazione scura cangiante in cui venne proposta nel modello base, la facevano sembrare una grossa melanzana con le ruote. Sotto a tutta quella plastica si nascondeva, oltre al motore, un telaio a doppia da moto vera e propria come le misure delle ruote (10/70R17 ant. e 190/50R17pos.). Affidabile e tipicamente Honda, il maggior numero di modelli sono stati venduti tra il 2008 e il 2009 e in Italia ne sono state immatricolate circa 1.000. Poco convincente come moto e troppo impegnativa come scooter, nel 2012 è uscita dal listino ufficiale.
Vyrus Alyen
Vyrus Alyen
Alla Vyrus ci hanno abituato a vedere le Bimota Tesi come motociclette comuni e non stupirci più di nulla. Non a caso lo slogan è “Pura follya tecnologica” e l’ultima di queste “follye” si chiama Alyen. Dotata di un bicilindrico Ducati superquadro da 1.285 cc desmo che sviluppa 205 Cv a 10.500 giri. Una vera bomba di motore tenuto insieme da un design completamente fuori dagli schemi e ogni dettaglio è privo di regole. I minuscoli fari anteriori sono posti uno sopra l’altro e sembrano gli occhi di un insetto (o una razza aliena).
Il motore è portante e tutta la struttura è ricoperta di carbonio in quantità. Monobraccio il forcellone e forcella anteriore con il sistema di sterzo idraulico cablato Vyrus. Il telaio è in magnesio a doppia omega come sui precedenti modelli. Il punto di forza di questa soluzione ciclistica è l’aumento di stabilità in ordine di marcia a velocità sostenute. Di tutti gli esempi l’Alyen è la più interessante, bella e innovativa quanto follemente vendibile. Estrema, può dividere gli appassionati.
BMW R1200ST
BMW R1200ST
Non è una novità che i tedeschi abbiano sempre preferito uno stile funzionale e lineare, a scapito del lato puramente estetico. E nelle rare occasioni in cui si sono cimentati in arte teutonica, hanno evidenziato tutti i loro limiti in fatto di gusto, facendosi apprezzare più per le solide soluzioni di base. Prodotta dal 2004 al 2008, la BMW R1200ST, arrivò sul mercato sull’onda del grande successo raccolto dall’allora innovativo bicilindrico boxer da 1170 cc che mandava in pensione il precedente 1150 cc.
Di tutta la gamma R (GS compreso), equipaggiata con il propulsore da 1,2 litri, proporre il design dell’ST significava vendere qualche migliaio di pezzi in meno. Interessante, quanto ben rifinita, l’estetica di questo modello non convinceva, pur condividendo le stesse caratteristiche di tutta la serie. Lo sviluppo verticale dei fari anteriori racchiusi in una sagoma ad esagono allungato e il cupolino largo tipo scudo, lo facevano sembrare un ciclope a due ruote. Maneggevole, comoda, potente e relativamente leggera (205 kg), avrebbe potuto spopolare accontentando motociclisti di tutti i tipi, ma lo scarso fascino e la concorrenza interna di moto più belle e tecnicamente identiche, non gli hanno portato fortuna.