La diplomazia vacilla: nel duello commerciale tra Cina e Stati Uniti volano cannonate. E stavolta Pechino ha deciso di tirare fuori l’artiglieria pesante. Dopo che Washington ha annunciato nuovi dazi fino al 34% contro i prodotti cinesi, la Repubblica del Dragone ha replicato colpo su colpo, con misure altrettanto dure. Anzi, forse qualcosa in più.
Scontro a muso duro
I dazi americani, snocciolati con orgoglio dalla tabella del presidente Trump (che accusa la Cina di tassare i prodotti Usa fino al 67%), non sono passati inosservati. E da Pechino è arrivata la risposta in quattro mosse. Misure perentorie, concepite allo scopo di nuocere ai nervi economici e strategici di Washington. La prima? Pan per focaccia: dazi del 34% su tutti i beni importati dagli Stati Uniti a partire dal 10 aprile. Mossa speculare, stessa percentuale. Con un piccolo spiraglio per trattare. Ma non finisce lì.
Minerali rari, blocchi e “liste nere”
Seconda mossa: restrizioni sull’export di terre rare. Parliamo di elementi chiave a fini tecnologici (e nel ramo dell’industria bellica), quali samario, gadolinio e lutezio. Materiali su cui la Cina ha quasi un monopolio e che ora ha deciso di razionare con attenzione chirurgica. Gli Stati Uniti? Ovviamente nel mirino. A partire dal 4 aprile, stop esportazioni libere.
Terza contromossa, ancora più diretta: blocco dell’export di beni a duplice uso (civile e militare) verso 16 aziende americane, tra cui High Point Aerotechnologies e Universal Logistics Holdings. Pechino chiude il rubinetto a chi – secondo loro – sostiene Taiwan. E intanto 11 aziende d’oltreoceano finiscono ufficialmente nella famigerata “black list” a causa della vendita di armi a Taipei. La Cina, lo ricordiamo, considera Taiwan una sua provincia ribelle.
Ultima pedina sullo scacchiere: ricorso formale all’Organizzazione mondiale del commercio. Pechino ha presentato una denuncia ufficiale contro le nuove tariffe Usa, definendole “un atto di bullismo unilaterale”. Il contraccolpo non si è fatto attendere. Le Borse europee hanno chiuso in rosso, e anche il petrolio ha preso una brutta piega. Il Brent ha toccato i 66,64 dollari a barile, minimo da fine 2021, mentre il Wti è sceso fino a 63,45 dollari.
Dal canto suo, Trump ha liquidato il tutto con una frecciatina glaciale su Truth: “La Cina è andata nel panico. È l’unica cosa che non potevano permettersi”. Tuttavia, qualcuno dissente. Secondo il Wall Street Journal, la guerra commerciale in atto rischia di fare più male che bene, facendo lievitare i costi a carico di aziende e consumatori americani, e indebolire la leadership globale degli States. Mentre gli Usa chiudono i cancelli, la Cina potrebbe sfruttare il caos per avvicinare Giappone, Corea del Sud e addirittura Europa, piazzandosi come nuovo punto di riferimento negli scambi internazionali. Nel mentre, colossi dell’auto come Stellantis sono costretti a prendere le prime sofferte decisioni.
Una nuova mappa del potere?
La tesi perorata dagli esperti è che, anziché una guerra commerciale, sia in procinto di nascere una vera partita a scacchi geopolitica. Dove ogni mossa sui dazi nasconde strategie più profonde. E se Trump spinge sul protezionismo, Pechino risponde con ritorsioni mirate e diplomazia aggressiva. In mezzo, un’Europa ancora incerta, e mercati che ballano sul filo del nervosismo.