AGI – A differenza delle principali economie che stanno combattendo l’inflazione, la Cina è entrata in deflazione per la prima volta da oltre due anni, appesantita da un consumo interno fiacco che sta complicando la ripresa economica.
La deflazione è l’opposto dell’inflazione, ovvero il calo dei prezzi di beni e servizi. Anche se sulla carta può sembrare una cosa positiva per il potere d’acquisto, la deflazione è una minaccia per l’economia. Invece di spendere, i consumatori rimandano gli acquisti nella speranza di un’ulteriore riduzione dei prezzi. In assenza di domanda, le aziende sono costrette a ridurre la produzione, a congelare le assunzioni o a licenziare e ad accettare ulteriori sconti per smaltire le scorte, il che pesa sulla loro redditività perché i costi rimangono invariati.
Gli economisti definiscono questo fenomeno come una spirale negativa. L’indice dei prezzi al consumo in Cina, il principale indicatore dell’inflazione, è sceso dello 0,3% su base annua a luglio, secondo l’Ufficio nazionale di statistica (Nbs). Gli analisti intervistati da Bloomberg si aspettavano un calo dei prezzi dello 0,4%, dopo l’inflazione zero del mese precedente. Su base mensile i prezzi al consumo segnano +0,2% da -0,2% precedente e contro stime per -0,1%. Male anche i prezzi alla produzione: -4,4% annuo, peggio delle attese di -4,1% e meglio del -5,4% di giugno.
Lo shock deflazionistico
La Cina ha sperimentato un breve periodo di deflazione alla fine del 2020 e all’inizio del 2021, a causa del crollo del prezzo della carne di maiale, la più consumata nel Paese. L’ultima volta che è successo è stato nel 2009. Molti analisti temono che questa volta il periodo sia più lungo, in un momento in cui i principali motori di crescita del Paese stanno cedendo e la disoccupazione giovanile ha raggiunto il livello record di oltre il 20%.
La crisi del settore immobiliare, che da tempo rappresenta un quarto del Pil cinese, è la ragione “principale” di questo “shock deflazionistico”, secondo l’economista Andrew Batson di Gavekal Dragonomics. Nel frattempo, l’indice dei prezzi alla produzione si è nuovamente contratto a luglio (-4,4%) per il decimo mese consecutivo.
Questo indice, che misura il costo dei beni che escono dalle fabbriche e dà un’indicazione della salute dell’economia, era già sceso del 5,4% a giugno. Prezzi alla produzione in rosso sono sinonimo di riduzione dei margini per le aziende. Questi indicatori arrivano dopo i dati deludenti sulle esportazioni cinesi, tradizionalmente un importante motore di crescita.