• 22 Gennaio 2025 1:46

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Chiurlottello e pappagalli: quando uno non vale uno per la biodiversità romana

Gen 21, 2025

AGI – L’estinzione del chiurlottello e l’invasione dei pappagalli: a Roma negli ultimi tempi si è trasformato il panorama ornitologico, ma dietro un apparente trionfo di biodiversità si potrebbero celare gravi insidie per la sopravvivenza delle specie autoctone. Tutti si sono accorti dello schiamazzo dei parrocchetti dal collare e dei parrocchetti monaci nei parchi e nei viali alberati della Capitale ma in pochi hanno notato la scomparsa del ‘ciarlottello’, come era soprannominato il chiurlo dal becco sottile, un tempo assiduo frequentatore della Città Eterna.       

 

“Nello storytelling presente le nostre città sprizzano biodiversità”, osserva il conservazionista Spartaco Gippoliti dell’Associazione Italiana Wilderness (AIW) in un’intervista all’AGI, “forse non abbiamo mai avuto tante specie animali nelle nostre città, e comunque mai tanto vaste, ma il problema della tutela della biodiversità è che non vince chi ha più specie, ma chi ha quelle ‘giuste'”. 

 

 Nel novembre scorso un gruppo di ricercatori ha dichiarato la quasi certa estinzione del chiurlottello, un simpatico uccello legato agli ambienti paludosi, caratterizzato da un sottile e lungo becco con cui estraeva dal terreno i vermi di cui si nutriva. La specie, che si riproduceva in aree dell’Asia centrale mai identificate con precisione, può sembrare ‘estranea’ alla biodiversità italica, ma in realtà l’Europa meridionale era l’area dove i chiurlottelli passavano l’inverno, come d’altronde in Nord Africa. 

 

 

Quando due secoli fa l’ornitologo Carlo Luciano Bonaparte – nipote di Napoleone Bonaparte – li scoprì nel Viterbese e poi nei prati allagati lungo il Tevere, la specie era relativamente comune e anche ben conosciuta localmente come Ciarlottello. Nel secolo successivo la specie continuava a figurare nei resoconti dei cacciatori romani e italiani ma iniziavano anche i primi progetti di bonifica delle paludi intorno alla Città Eterna. Il chiurlottello e le altre specie adattate a un mondo di mezzo tra terra e acqua, non più previsto dalla civiltà, erano condannate al declino.

 

“Il 90% degli italiani”, lamenta Gippoliti che da decenni si occupa di tassonomia e conservazione dei mammiferi, “non riesce a capire la differenza tra l’importanza di conservare lo scoiattolo rosso euroasiatico Sciurus vulgaris – che a Roma abbiamo ancora il privilegio di potere osservare nei parchi storici – e la presenza dell’invasivo scoiattolo grigio Neosciurus carolinensis che in Gran Bretagna e in Nord Italia ha già portato la specie nativa sull’orlo dell’estinzione. Se ne deduce che più alto è il numero di specie esotiche, minore il valore di un territorio dal punto di vista della biodiversità, anche perché esiste spesso un impatto assai negativo sugli elementi autoctoni. I bellissimi e abbondanti parrocchetti, ad esempio, stanno occupando tutte le cavità degli alberi per nidificare, scacciando le specie autoctone”.   

 

“Il concetto di ‘biodiversità'”, sottolinea Gippoliti, “è più complesso di quanto sia comunemente percepito e non va traslato in ideologie politiche come viene spesso fatto”. A suo avviso serve “una cultura condivisa sul tema” e “un ruolo chiave dovrebbero averlo quelle strutture come i musei di storia naturale, gli acquari, i giardini zoologici e gli orti botanici che sono nati per studiare e educare alla biodiversità ma che, per esempio, sono quasi completamente ignorati nell’ambizioso programma del National Biodiversity Future Center (NBFC) che usufruisce di ingenti risorse fornite dal NextgenerationEU”. 

 

“Una cosa è certa”, conclude il conservazionista, “la tutela della biodiversità non è sinonimo, come molti pensano, di contemplazione o di impegno ristretto a una o due specie eclatanti. L’esperienza ci insegna che i risultati reali nascono da un equilibrato connubio tra cultura naturalistica e posizioni morali che non dimenticano il Creato tutto ma nemmeno considerano l’uomo come il ‘male assoluto’ del pianeta”.

 

 

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