• 25 Novembre 2024 19:42

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Caro Rovelli, non serve il misticismo orientale per studiare i buchi neri

Mag 3, 2023

Umberto Minopoli, caro amico del Foglio, è scomparso sabato scorso, a 69 anni. Questo è un articolo che aveva scritto pochi giorni prima di essere ricoverato. Oggi a Roma,  alle 14.30, nella Sala della Camera di commercio di Roma, via de’ Burrò 147, alcuni amici di Umberto lo ricorderanno per un ultimo saluto.

    

Che cosa nasconde l’interno di un buco nero? Dove porta quel precipizio dello spaziotempo? Si può capire quello che non si è mai visto? Carlo Rovelli se lo domanda nel suo ultimo lavoro, “Buchi Bianchi: Dentro l’orizzonte” (Milano 2023). Due foto catturate dall’Event Horizon Telescope – quella (2021) del buco nero al centro della galassia M87, a 55 milioni di anni luce dal Sole e quella (2023) di Sagittarius A, al centro della Via Lattea, a 26.000 anni luce da noi – hanno chiuso una discussione che ha appassionato tre secoli di dibattito scientifico: i buchi neri esistono realmente. Non sono più ipotesi su cui i fisici fanno scommesse (celebre quella tra Hawking e Kip Thorne, nel 1974, con in palio una collezione di Penthouse). I buchi neri, dunque, si vedono. Ma cosa nascondono al loro interno? Dove porterebbe varcarne il misterioso confine, quell’inquietante e buia regione al centro di una corona di materiale incandescente, in rotazione furiosa, che i fisici chiamano orizzonte degli eventi? 

 
Essa non è una linea immaginaria – come noi ci figuriamo i nostri orizzonti – ma l’enigmatica porta serrata di una zona particolare dello spazio e del tempo: un luogo dove gli eventi, il modo di manifestarsi degli accadimenti e della natura che conosciamo, letteralmente, si interrompono alla vista di un osservatore. Per oltre 50 anni, il buco nero è stata speculazione, immaginazione, letteratura, fantasia filmica anche accurata: magnifica l’ultima, quella di “Interstellar”, il magistrale film di Christopher Nolan con la consulenza di Kip Thorne, Nobel alla Fisica e padre dei buchi neri. Ora, questi mostri di un universo sconvolgente che si va dischiudendo ai nostri occhi li vediamo nelle foto e li percepiamo nei segnali dei grandi interferometri che catturano, finalmente, onde gravitazionali. E’ possibile provare ad avanzare ipotesi scientifiche, ora che li vediamo esistere, su quello che dovrebbe avvenire all’interno dei buchi neri. Il prof. Rovelli riprende l’interrogativo che, fin dai primi anni 70, affascina la Fisica teorica e vi risponde con gli argomenti maturati in 50 anni di riflessione sul più enigmatico fenomeno dell’universo. Il buco nero è il luogo di dominio incontrastato della gravità, dove essa ha vinto ogni rivale e dove quindi, come in un inferno dantesco, vige un unico destino: cadere. Un buco nero è una stella collassata, la cui materia precipita vorticosamente, curvando lo spazio e il tempo – predicono le equazioni di campo di Einstein – senza freni, restringendosi e concentrandosi, per finire in un punto di densità infinita, che la Fisica chiama singolarità. L’imbuto, oltre l’orizzonte degli eventi, è il luogo dove spazio e tempo si distorcono. E niente più funziona secondo la logica del “mondo di fuori”. Soprattutto il tempo ne è sconvolto: non è quello che conosciamo, passato e futuro si invertono. Ad esempio: la stella collassata forse da secoli  diventata, in pochi secondi apparirebbe ancora in caduta. Come se il suo futuro stesse precedendo il passato della stella. Tutto così magico e fantastico, ma tutto rigorosamente dedotto dalle equazioni della relatività, adattate ai numeri sconvolgenti di quell’ambiente infernale. Rovelli ricostruisce, con un ricco corredo di argomentazioni di Fisica, relativistica e quantistica, come potrebbe manifestarsi, a un oggetto che vi cadesse, l’esperienza di quell’imbuto dell’universo: cosa incontrerebbe nel precipizio e dove potrebbe concludersi la caduta. La singolarità, con le sue montagne russe tra passato e futuro, è il secondo limite, dopo l’orizzonte degli eventi, che si incontrerebbe nel buco nero. La relatività di Einstein diventa muta nell’indicibile ambiente della singolarità: letteralmente non può dirci nulla sull’esito della caduta. La realtà materiale in quel luogo non funziona con le leggi della Fisica che conosciamo. Si è fatta quantistica: funziona con i comportamenti strani, controintuitivi, ineffabili della Fisica dei quanti. Ed è logico che sia così. Dietro all’orizzonte degli eventi non c’è più un mondo macroscopico, fatto di oggetti consistenti, di materia aggrumata: la gravità, che schiaccia furiosamente, riduce tutto alla microscopica materia delle particelle senza dimensione. Cosa vedrebbe accadere un osservatore esterno che guardasse l’uscita di un buco nero, la fine dell’imbuto? Rovelli avanza un’ipotesi: il buco nero potrebbe concludersi in un buco bianco. Cioè In una regione dello spaziotempo, dell’universo reale, in cui valgono esattamente le proprietà opposte dell’ingresso del buco nero, dell’orizzonte degli eventi. La fine del buco nero potrebbe essere la controfigura simmetrica del buco originario: le cose salgono invece di cadere; dal buco si esce ma non si entra; è bianco (splendente di luce e di energia) invece che nero (e che intrappola la luce); il tempo distorto si inverte (il futuro di quello che esce è, probabilmente, alle spalle e non davanti. That’s quantistic reality, guys. Fantasia? 

 
La Fisica del buco bianco rispetta solide leggi di natura: quella della conservazione dell’energia (altrimenti smentita da un buco nero che ingoiasse materia senza restituire nulla), quella della simmetria. In un mondo di particelle subatomiche (il buco nero lo è), ogni particella ha la sua controfigura simmetrica. Il buco bianco, dunque, è fisicamente plausibile. Rovelli, però, è la nostra osservazione critica, dovrebbe lasciarlo a   quello che è: una seducente ipotesi, da verificare con i progressi della Fisica. Invece, fa capolino il Rovelli militante, quello della crisi dell’occidente della lettera al Foglio (venerdì 28 marzo). La resa della Fisica, la sua afasia sull’interno del buco nero è enfatizzata dal professor Rovelli come un limite invalicabile del pensiero occidentale, quasi un confine della conoscenza: lì “abbiamo raggiunto”, scrive Rovelli, “il bordo del nostro sapere”. Per penetrare il precipizio dell’orizzonte degli eventi, abbiamo bisogno di un nuovo pensiero, di una nuova lingua della scienza, oltre la “rigidità logica e matematica” e i sillogismi di quello che, da Galileo a Einstein, è il linguaggio del pensiero occidentale. Qui davvero, il pensiero del fisico Rovelli si fa vertiginoso. Dovremmo ricorrere, scrive il professore, al pensiero orientale, curiosamente, esemplificato in correnti del misticismo cinese (il moismo e il pensiero di Zhuang-zi) del III secolo a.C. Esso insegnerebbe ad “argomentare per analogie”, attingendo all’arte, usando la creatività e liberando il pensiero scientifico dai sillogismi, logici e matematici, della tradizione occidentale. 

 
Questa riserva sulla Fisica e la scienza occidentale è il punto dove il fisico teorico cede al pensatore militante. La verità è esattamente opposta a una presunta crisi o inadeguatezza del pensiero scientifico occidentale a misurarsi con le nuove frontiere della conoscenza del cosmo. La Fisica occidentale è il campo del sapere scientifico dove il progresso della conoscenza ha fatto, in 30 anni, avanzamenti sorprendenti. Cambiando un’idea secolare di universo, scoprendone un funzionamento imprevisto e schiudendo la scienza a interrogativi nuovi e imprevisti. Sulla conoscenza dei buchi neri, insieme alla materia e all’energia oscure, la domanda più avvincente della Fisica dell’universo, il misticismo orientale non ci potrà dire nulla. Serviranno, invece, le ricerche della Fisica contemporanea: gli studi sulla gravità quantistica (di cui Rovelli è protagonista), quelli sulla formazione stellare ai primordi dell’universo, quelle sulla natura della materia oscura, lo studio della realtà, non ancora afferrata, delle radiazioni cosmiche che ci attraversano. Frontiere di ricerca supportate da una straordinaria tecnologia osservativa: telescopi satellitari che leggono la materia dell’universo in tutte le bande di frequenze in cui si esprime; i futuri grandi interferometri che decifreranno le onde gravitazionali (il vero marcatore dell’attività dei lontanissimi buchi neri); gli acceleratori di particelle che riprodurranno le condizioni dell’universo primordiale, dove si pensa si siano formati i buchi neri massicci al centro delle galassie. Questa scienza continua a parlare il linguaggio di Galileo e Einstein e, davvero, non avverte alcun bisogno di fuga nel misticismo orientale.

 

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