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Carenza educativa, quella gabbia che passa dai genitori ai figli

Mag 19, 2019

I giovani non impiegati n nello studio n nel lavoro (Neet) in Italia sono 3,3 milioni e hanno un costo annuale di 32 miliardi. Per numero assoluto, la platea pi vasta tra i Paesi della Ue. Il gruppo pi fragile, all’interno di questa schiera di ragazzi, rappresentato da 580mila persone fra 18 e 24 anni che non hanno n un diploma, n una qualifica professionale.

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Nel linguaggio delle statistiche europee si chiamano early school leavers (Esl): in pratica sono coloro che sono usciti dal circuito scolastico senza avere acquisito una qualifica o un diploma. Sette su dieci hanno una carriera scolastica in linea con quella del padre e della madre. L’indicazione emerge dal Rapporto Giovani 2019 dell’Istituto Giuseppe Toniolo.

Dai dati dell’edizione 2019 del rapporto sui giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo emerge la forte incidenza del capitale culturale della famiglie di origine sulla carriera scolastica dei giovani. In pratica, la scuola in questi anni non riuscita a compensare il gap di dotazione culturale delle famiglie. Il rischio quello che la spirale della povert educativa si perpetui dai padri ai figli, traducendosi per i giovani in un rischio di marginalit lavorativa e sociale. Nel 2012, il 78% dei giovani non diplomati fra 18 e 30 anni aveva un padre (e una madre) con titolo di studio inferiore al diploma o alla qualifica. Questa percentuale passata al 68% nel 2016.

IL GAP TRA I DIPLOMATI E NON

Giovani per livello di istruzione e inserimento occupazionale in % (Fonte: la condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2019 – Istituto Giuseppe Toniolo

Tra l’altro, mentre un tempo, soprattutto in alcune regioni, l’abbandono degli studi era legato a un ingresso precoce nel lavoro, quindi si lasciava la scuola perch c’era la possibilit di un impiego, questa possibilit si assottigliata, negli anni, per i giovani senza diploma. Tra il 2012 e il 2016 il livello di inserimento lavorativo dei giovani senza un titolo secondario superiore si sensibilmente ridotto: nel 2016 risultava occupato il 42,5%, contro il 59,5% del 2012 (si veda il grafico a fianco). La diffusione del fenomeno dei Neet aumenta tra i giovani senza diploma, anche se un titolo di studio pi elevato non un fattore di protezione decisivo.

Per coloro che trovano un lavoro, poi, avere un titolo di studio pi basso espone al rischio di forme contrattuali pi irregolari e meno retribuite. Il lavoro informale ha un’incidenza maggiore tra i giovani non diplomati: quasi uno su cinque di quelli intervistati nell’ambito del Rapporto dichiara di svolgere un lavoro subordinato regolato solo da un accordo verbale con il datore di lavoro.

Se si considerano poi i redditi da lavoro, emerge che quasi il 60% dei giovani non diplomati, guadagnano meno di mille euro al mese (il 58,9% nel 2012 e il 57% nel 2016). Il 10,2% guadagna da 1.600 a 2mila euro e appena l’1,1% guadagna oltre 2mila euro (dati riferiti al 2016).

Anche la fiducia nelle istituzioni e la propensione verso le attivit sociali, come il volontariato, tendono progressivamente a crescere in rapporto con i titoli di studio pi alti. Solo il 5,7% dei giovani dichiara di essere impegnato nel volontariato, e questa percentuale si abbassa fino all’1,4% nel gruppo dei giovani che non hanno un titolo di studio secondario superiore.

Il Rapporto 2019 dell’Istituto Toniolo mette in luce il forte rischio di emarginazione anche sociale dei Neet. Nonostante questi giovani non siano impegnati in un’attivit lavorativa, e quindi, in teoria, abbiano pi tempo per le relazioni personali, pi di uno su tre dichiara di non incontrare mai compagni di scuola, amici, parenti o colleghi (il 10,7%, con una percentuale di oltre dieci punti superiore a quella dei non-Neet), o di incontrarli meno di una volta al mese (il 23,8%, contro il 16,5% dei non-Neet).

Investire nella formazione e nell’inclusione sociale e lavorativa dei giovani in povert educativa – spiega Alessandro Rosina, docente di demografia e statistica sociale dell’Universit Cattolica di Milano e coordinatore scientifico del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo – significa aumentare la crescita economica del Paese, ridurre le disuguaglianze ed evitare che questa generazione di ventenni si trasformi in un costo sociale permanente.

L’Italia riuscita a ridurre il tasso di abbandono scolastico negli ultimi anni, passando dal 25,1% degli under 24 nel 2000 al 14% nel 2017. Comunque, ancora distante dall’obiettivo fissato nell’ambito di Europa 2020 di arrivare sotto il 10 per cento.

L’Italia ha gi meno giovani rispetto ad altri Paesi europei – continua Rosina – e ha un tasso di dispersione scolastica che resta pi elevato della media Ue. E mentre questi giovani, prima, avevano la chance di andare presto a lavorare, adesso sempre pi difficile avere un’attivit alternativa allo studio. Questi ragazzi – conclude – hanno talenti che rischiano di perdersi e rischiano di restare intrappolati nella condizione di Neet. Per questo essenziale intervenire per tempo con l’obiettivo di renderli attivi, non tramite aiuti economici per resistere nel presente, ma con investimenti nella formazione e nell’aumento delle loro competenze e capacit.

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