Dice che andare via gli dispiace: “Più che per il mio destino individuale, che sono sicuro riserverà belle sorprese, sono triste per l’assenza di prospettive per un’intera generazione, che tra l’altro è la più giovane, la più formata e quella che dovrebbe rappresentare il futuro”. Però Massimiliano Probo, 35 anni, torinese, non aveva alternative: dopo 11 anni come ricercatore precario all’Università di Torino, ha detto sì a un contratto a tempo indeterminato offertogli da Agroscope, l’ente di ricerca sull’agricoltura della Svizzera, dove sarà il coordinatore del gruppo che si occupa di sistemi pastorali, a Nyon.
È il classico caso di “cervello in fuga”, ma con una differenza: “In tutti questi anni ho conosciuto diversi colleghi italiani che sono stati costretti ad emigrare per poter lavorare. In molti ho trovato un senso di rancore nei confronti del loro Paese. Li capisco, però secondo me occorre avere una visione più obiettiva: se sei lì è anche grazie all’Italia, che ti ha formato e ti ha consentito di fare un percorso di un certo livello”, dice lo studioso.
Il suo percorso accademico è iniziato al dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari, prima con una laurea magistrale in Scienze forestali e poi con un dottorato e una serie di borse e assegni di ricerca. Ha aspettato per anni che ci fosse un concorso e nel frattempo, per far quadrare i conti, ha fatto anche il libero professionista come agronomo forestale.
Un elemento, quest’ultimo, che si è rivelato importante durante il colloquio che ha svolto a Nyon: “I referenti di Agroscope hanno apprezzato molto che in passato non mi sia dedicato soltanto alla ricerca “pura” ma che abbia anche collaborato con Comuni, parchi, aziende, associazioni di categoria. Lo considerano un punto di forza perché loro svolgono una ricerca molto applicata”, racconta Probo.
Massimiliano Probo
Poi c’è un altro aspetto che ha convinto gli svizzeri: “Quando il responsabile del centro ha guardato il mio curriculum è rimasto colpito dal fatto che abbia pubblicato 15 articoli scientifici su riviste internazionali negli ultimi cinque anni. Mi ha detto che lui non avrebbe potuto competere con me. Questo però è il frutto di un lavoro di squadra: io sarò anche stato bravo a scrivere e a fare le mie analisi, ma dietro c’è un team che in questi anni ha fatto ricerca di alto livello con pochissime risorse e nonostante un sistema universitario in crisi e privo di investimenti, dove il numero di precari è ormai di molto superiore a quello dei ricercatori strutturati”, dice lo studioso.
La sua vita e la sua carriera, dunque, proseguiranno sulle rive del lago di Ginevra: “Mi è andata bene, è abbastanza vicino a Torino e posso tornare con facilità. E poi chissà che un giorno non nascano occasioni anche in Italia”, dice il ricercatore. Ora a Nyon sarà anche presidente dell’Associazione per la foraggicoltura della Svizzera francese, studierà quali sono le sementi più adatte allo sviluppo degli allevamenti elvetici e farà parte di un centro, Agroscope, che può contare su oltre 900 addetti impegnati nel far progredire l’agricoltura della Confederazione.
Dopo 11 anni all’Università di Torino l’unica offerta di lavoro a tempo indeterminato (e ben pagata) è arrivata
dalla Svizzera, tra l’altro con un incarico da coordinatore. Del resto, si dice spesso che spostarsi in giro per il mondo sia nel destino dei ricercatori: “Ma infatti – sottolinea Massimiliano Probo – è bello che questo ambiente sia internazionale e che ci siano scambi continui. Il problema è che per l’Italia questo processo vale solo in uscita. Per dieci studiosi che vanno fuori, ne arriva uno solo in Italia. Ed è questo a indebolire il nostro sistema”.