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Caporalato, sfruttarono immigrati nei campi del Salento, il pm chiede 14 anni di carcere

Set 22, 2016
LECCE – La giustizia presenta il conto al “re delle angurie” salentine Pantaleo Latino e ad altri sei imprenditori che – negli anni tra il 2009 e il 2011 – avrebbero sfruttato i braccianti stranieri nelle campagne di Nardò e del suo hinterland. La Procura di Lecce ha chiesto per Latino 14 anni di reclusione e 9 per i suoi presunti complici italiani: Livio Mandolfo, Corrado Manfredi, Giuseppe Mariano, Salvatore Pano, Marcello Corvo e Giovanni Petrelli.

Pene tra i 14 e i 7 anni sono state sollecitate invece per nove caporali e capisquadra, tutti stranieri. La sentenza del processo Sabr (dal nome di uno dei caporali) arriverà entro fine anno e metterà un punto al primo procedimento giudiziario in cui fu contestato il 603 ter, reato di caporalato introdotto nel Codice penale nell’estate 2011. Furono quelli i mesi in cui il ‘caso Nardò’ esplose con violenza, in seguito allo sciopero dei braccianti capeggiato dallo studente camerunense Yvan Sagnet.

Anche la sua denuncia fa parte del voluminoso fascicolo d’inchiesta che, nel maggio 2012, sfociò negli arresti di 22 presunti responsabili dello sfruttamento di centinaia di lavoratori nei campi. Costretti a lavorare per 10-12 ore al giorno, sotto il sole cocente, privi di guanti e strumenti adeguati, i braccianti sarebbero stati pagati con pochi euro al giorno e, dopo le denunce, minacciati affinché le ritirassero.

Agli imprenditori e ai caporali vengono contestati a vario titolo i reati di caporalato, associazione a delinquere e la riduzione in schiavitù, l’estorsione, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della permanenza in stato di irregolarità sul territorio nazionale, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro. Molti stagionali si sono costituiti parte civile e non hanno avuto timore a presentarsi davanti ai giudici della Corte d’assise di Lecce per raccontare l’inferno che avevano vissuto.

A rendere meno efficaci le loro testimonianze, i problemi di traduzione della miriade di dialetti africani in cui si esprimono, non sempre conosciuti dagli interpreti. Alla fine del dibattimento, il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone ha comunque ritenuto che le prove a carico degli imputati siano schiaccianti e chiesto per tutti condanne pesanti. Centosettanta in totale gli anni di carcere che potrebbero essere comminati se venissero accolte le tesi della pubblica accusa, che gli avvocati difensori proveranno a smontare a partire dal 13 ottobre.

Il processo – stando alle rassicurazioni fornite dal presidente della Corte, Roberto Tanisi – si concluderà entro l’anno. Gli imprenditori

e i loro legali hanno sempre manifestato piena fiducia in un’assoluzione piena, cercando di minare la credibilità dei testimoni e la ricostruzione della Procura. Anche dopo gli arresti, tuttavia, il sistema di lavoro utilizzato nelle campagne di Nardò e del suo hinterland non sembra essere cambiato, come dimostrano anche i racconti dei braccianti, raccolti nell’estate appena trascorsa nel ghetto alle porte della città.

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