E’ un ristorante pizzeria napoletano, che già dal nome richiama la tradizione partenopea: ‘Donna Sophia dal 1931’. Si trova a Milano, in corso di Porta Ticinese 1, punto strategico tra il Duomo e i Navigli, a due passi dalle Colonne di San Lorenzo. Per gli investigatori della Dia di Napoli non è però solo un ristorante, ma è la ‘lavanderia’ dei soldi sporchi della camorra. Acquistato dalla famiglia napoletana dei Potenza, storici trafficanti di sigarette, “grazie all’impiego di capitali illeciti”, per reinvestire i capitali nascosti in Svizzera dalla famiglia.
A raccontare la storia del ‘Donna Sophia’, sotto sequestro da questa mattina, è il decreto del tribunale di Napoli, sezione misure di prevenzione, che ha messo i sigilli a proprietà e conti di diversi membri della famiglia Potenza, tra la Campania, Milano e la Svizzera, per un valore complessivo di 20 milioni di euro.
Tra i beni sequestrati, appunto, c’è il ristorante milanese: uno degli ultimi acquisti della famiglia, concluso nel 2015. Nel settembre di quell’anno la società Marass srl compra da una società milanese i locali di corso di Porta Ticinese 1 per 300mila euro. Titolari della Marass (costituita un anno prima) sono la figlia 26enne e la nuora (moglie del figlio) di Salvatore Potenza, figlio di Mario ‘O’ chiacchierone’, capostipite della famiglia criminale e storico usuraio del quartiere napoletano di Santa Lucia, morto nel 2012. Le due donne acquistano il ristorante utilizzando la donazione che Salvatore fa, il mese prima della compravendita, a sua figlia Assunta: 200mila euro, somma bonificata da un conto svizzero oggetto di una voluntary disclosure, riconducibile proprio a Salvatore Potenza. Donazione che è “solo un escamotage per sottrarre la società a possibili interventi oblatori da parte dello Stato”.
“Le quote societarie della Marass srl sono detenute solo formalmente” dalle due donne, scrivono i giudici, visto che “l’analisi reddituale effetturata sui membri della famiglia di Potenza Salvatore per gli anni successivi al 2011 ha evidenziato che i redditi dichiarati non sono in alcun modo parametrati alla somma di 300mila euro dichiarati in sede di rogito notarile
per l’acquisto dell’attività” e che le due socie della Marras erano, al momento dell’acquisto, “assolutamente prive di reddito personale”. E, in più, Salvatore Potenza viene arrestato per una misura di esecuzione pena proprio nel ristorante di Milano formalmente intestato alla figlia e alla nuora. Ristorante che, scrivono i magistrati, “effettivamente gestisce” proprio lui, come “dominus dell’attività imprenditoriale”.