• 29 Novembre 2024 7:51

Corriere NET

Succede nel Mondo, accade qui!

Buffalo Agnelli e gli indiani

Apr 22, 2021

La guerra in fin dei conti l’aveva vinta lui, contro gli indiani; o quantomeno l’avrebbero definitivamente vinta da lì a poco i pionieri della modernità e del nuovo mondo: “Diminuzione dei cavalli, aumento dell’ottimismo”, gli avrebbe fatto cantare molti anni dopo Francesco De Gregori. Il mondo andava e sarebbe andato nella direzione che lui aveva immaginato e contribuito a forgiare: il selvaggio West e la lotta per la sopravvivenza ridotti a un circo, a uno spettacolo a pagamento. Senza più natura, ma senza nemmeno tanta cultura. Eppure Buffalo Bill prigioniero dentro al suo circo – nella strepitosa e impietosa parodia di Robert Altman in Buffalo Bill e gli indiani – è lo sconfitto, un uomo perso nel suo labirinto, è lo zimbello che Toro Seduto, capo della tribù del West inteso come bene comune, silenziosamente percula dall’inizio alla fine. Buffalo Bill aveva la chioma bionda (parrucca) e  gli occhi azzurri di Paul Newman. Sostituiteli con la barba cisposa e lo sguardo da cane bastonato anche quando vince di Andrea Agnelli, e il grottesco della situazione parallela sarà ancora più evidente.

 

In fondo Buffalo Bill non è altro che l’interprete-imprenditore dell’anima americana dello spettacolo. Che prende l’epopea avventurosa e sanguinosa della conquista del West e la trasforma in un roboante circo per famiglie senza più pericoli. Il cinema poi lo farà meglio (è sempre questione di tecnologie) ma, a ben guardare, è come far pagare al pubblico, per il suo intrattenimento, soltanto gli highlights del West, togliendo le parti noiose. Lo sport americano è della stessa natura, si toglie quel che è noioso e si esalta la spettacolarità. Buffalo Bill aveva visto giusto, ma c’era qualcosa che non andava: c’era ancora di mezzo la resistenza silenziosa ma gagliarda degli sconfitti, quelli che prima giocavano a un altro gioco e che avrebbero voluto continuare a farlo.

 

Ad Andrea Agnelli, al di là di qualche eccesso di ridicolo nei tempi e nei modi nell’ammutinamento dei dodici, è capitata più o meno la stessa cosa. Il calcio andrà probabilmente nella direzione che loro hanno indicato. Ma non ancora, non ancora. Il calcio del futuro sarà più simile al circo di Buffalo Bill, un baraccone di highligts. Un po’ lo è già, anche senza Superlega: gli eventi globali da tutto esaurito televisivo e trend topic sui social sono un certo gruppo di partite, e solo un gruppo ristretto di squadre, il resto è contorno poco seguito. Di queste partite, quello che fa il giro del mondo e dei telefonini sono i gol e qualche rabona, l’ultima tinta di capelli di Neymar. I novanta minuti condensati in tre. Tra le idee innovative che l’attualmente defunta nuova lega intendeva introdurre ci sono queste: vendere non solo i diritti delle gare ma anche, a parte, i diritti degli  highlights, puntando su un pubblico molto più giovane – quello, come ha detto proprio Agnelli, che non segue più la partita intera. E’ il pubblico della generazione Z che secondo gli analisti varrà  oltre trenta trilioni di reddito entro il 2030, potenzialmente molto più degli attuali millennial, e che vive per tre quarti nei mercati emergenti (calcisticamente: quelli con meno cultura tradizionale). Un’altra idea è spezzare il gioco in tre tempi da trenta minuti (più velocità, ma anche una pausa in più per fare/consumare altro). Poi ovviamente un calcio dove giocano solo i migliori, e dove l’adrenalina della possibile sconfitta, della retrocessione, sarà eliminata. Una parte della stagione sarà una lunga amichevole (accade anche nella mitica Nba: molte partite della regular season sono giocate dalle seconde linee e sotto ritmo) e la corsa alla vittoria è solo nelle fasi finali. Ma i dodici Buffalo Bill del nuovo calcio sanno anche che il pubblico globale del futuro sarà meno interessato alla vittoria in sé, più legata alla tribalità della tifoseria, che allo spettacolo consumato senza particolari ansie da classifica. E’ più appassionante il circo del West oppure una cavalcata nella prateria? Può essere una buona domanda, cui Buffalo Bill aveva già trovato la sua risposta. Il calcio da Superlega ovviamente è parte del modello “americano”, dove lo sport, lo stadio, sono innanzitutto una dimensione di festa; molto meno del modello “classico” europeo, dove il calcio è una sublimazione simbolica della guerra. Agli indiani di Toro Seduto piaceva vincere a Little Big Horn, rivedere tutte le sere gli highlight nel circo di Buffalo Bill, era invece una rottura di balle, o un orribile svilimento commerciale della storia. Toro Seduto per un po’ riuscì a perculare Buffalo Bill, finché Buffalo Bill capì il trucco e cambiò le comparse e anche il pubblico: venne in Europa. A vendere gli highlights di quella che era stata la più bella epopea del mondo.
 

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Guarda la Policy

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close