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Brexit, l’ultima chance di Theresa May: ha poco meno di tre settimane per cercare il miracolo – Repubblica.it

Mar 22, 2019

LONDRA – Chi ha vinto al Consiglio europeo di Bruxelles? Theresa May o Donald Tusk con i 27 Paesi Ue? Sulla Brexit, la premier britannica può tirare un grande sospiro di sollievo perché il baratro del 29 marzo – oltre il quale, senza un accordo, ci sarebbe stata l’uscita brutale e pericolosa dall’Ue detta “No Deal” – è scongiurato, seppur solo di qualche giorno. Inoltre, il presidente del Consiglio europeo Tusk e anche altri leader come il presidente francese Emmanuel Macron alla vigilia avevano annunciato che un rinvio della Brexit sarebbe stato possibile solo se May fosse riuscita a far passare entro la prossima settimana l’accordo firmato dalla premier e dall’Ue lo scorso novembre.

Invece, la premier britannica, piuttosto a sorpresa, è riuscita a strappare una piccola estensione senza condizioni: ora, se il suo accordo sulla Brexit dovesse essere approvato dal Parlamento britannico entro il 12 aprile, Londra avrà tempo fino al 22 maggio per far passare tutta la legislazione relativa al nuovo corso. Se invece non ce la facesse, allora al Regno Unito toccherà rinegoziare un nuovo rinvio con l’Ue per scongiurare il No Deal: ma a quel punto si andrà per forza di cose per un’estensione lunga, che includerebbe le elezioni europee previste a maggio, dimissioni molto probabili di May, elezioni anticipate e, forse, un secondo referendum.

Insomma, la resiliente May è sopravvissuta ancora una volta, ma stavolta per lei è davvero l’ultima chance. Ha poco meno di tre settimane, adesso, per cercare il miracolo. E cioè far passare il piano sulla Brexit da lei firmato con l’Ue che include il controverso “backstop”, ossia la clausola imposta dall’Europa che, per mantenere fluido e invisibile il tormentato confine irlandese e proteggere il mercato unico europeo post Brexit, lascerebbe l’Irlanda del Nord agganciata all’Ue qualora sulle Irlande non si trovasse un accordo definitivo.

Il patto May-Ue è ancora osteggiato da decine di conservatori ribelli nel partito di May, dagli unionisti nordirlandesi (Dup) che le fanno da stampella in Parlamento e soprattutto anche da quei laburisti di circoscrizioni pro-Brexit che dovrebbero essere già giunti in soccorso della premier e invece sono ancora interdetti dalla sua sconcertante debolezza.

Il problema, oltre ai contenuti del bistrattato accordo sulla Brexit, sta però anche in Theresa May stessa e nel suo carattere cocciuto e spesso divisivo che sinora le ha portato solo guai. Esemplare il discorso di mercoledì sera della premier, quando poco prima di partire per Bruxelles, in un momento in cui servivano il massimo ecumenismo e senso di unità per raccattare voti, ha invece sfoderato in diretta tv parole assurde e controproducenti, piene di retorica populista e di anti-politica, di accuse ai parlamentari “imbelli”.

Frasi che ovviamente hanno avuto l’effetto contrario di quello desiderato, alienando almeno una decina di deputati “responsabili” che stavano pensando di appoggiarla. Una dimostrazione di raro masochismo politico. Dopo le polemiche, oggi May a Bruxelles ha ammesso, per una volta, i suoi errori: “Mercoledì sera ho espresso la mia frustrazione”. Che nel suo linguaggio asfittico vuol dire: è vero, scusatemi, ho sbagliato. E già questo è un piccolo passo in avanti per la premier.

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