Ci sono auto che nascono per stupire e altre che nascono per necessità. La BMW M1, paradossalmente, nasce per entrambe le ragioni: stupire il mondo con una supercar tedesca capace di rivaleggiare con le icone italiane, e allo stesso tempo soddisfare un regolamento tecnico che richiedeva almeno 400 esemplari stradali per poter correre nelle categorie regine del motorsport europeo. La M1 è stata la prima vera BMW Motorsport “da strada”, la scintilla da cui è partita tutta la dinastia M.
La genesi del progetto “Made in Italy”
L’idea di una supercar BMW affonda le sue radici nella BMW Turbo del 1972, un prototipo futuristico creato per celebrare le Olimpiadi di Monaco. A metà degli anni ’70, con l’ingresso nel mondo delle corse del Gruppo 5, BMW vede un’opportunità: realizzare una supercar omologata per competere ad armi pari contro Porsche e Ferrari. Ma il regolamento è chiaro: servono 400 unità stradali. Per accelerare lo sviluppo e contenere i costi, BMW decide di affidarsi a chi quelle auto le costruisce per davvero: Lamborghini. Così, nel 1976, nasce il progetto “E26”: una BMW pensata in Germania ma costruita — almeno nelle intenzioni — nel cuore della Motor Valley.
Lamborghini e Italdesign
Il telaio della futura M1 viene affidato interamente a Lamborghini. La casa di Sant’Agata, forte dell’esperienza con vetture a motore centrale (e con una Miura diventata già mito), sembra il partner perfetto. La collaborazione sembra funzionare, almeno in un primo momento. I tecnici italiani disegnano un telaio tubolare moderno, rigido, adatto a un’auto che deve correre davvero.
Parallelamente al lavoro di Sant’Agata, la carrozzeria viene affidata a Italdesign, lo studio di Giorgetto Giugiaro. L’obiettivo è chiaro: riprendere l’anima della Turbo, ma trasformarla in qualcosa di concreto, producibile e meno estremo. Giugiaro disegna una linea pulita, simmetrica, affilata. Meno scenografica della Turbo, certo, ma più equilibrata e utilizzabile su strada. I fari a scomparsa, le superfici piatte e il lunotto con le caratteristiche lamelle posteriori la rendono immediatamente riconoscibile. L’M1 è quindi italiana nel design, italiana nella produzione dei pannelli, italiana nella filosofia costruttiva. Una BMW sì, ma con tanto DNA mediterraneo sotto pelle.
Problemi di produzione
Lamborghini ha il compito di assemblare telai e carrozzerie. Ma a causa delle difficoltà economiche — che la porteranno a un passo dal fallimento — la produzione si paralizza. Ritardi, materiali non consegnati, ordini lasciati a metà. BMW deve correre ai ripari. Il progetto viene strappato dalle mani di Sant’Agata e affidato alla carrozzeria tedesca Baur, che prende gli stampi di Italdesign, i telai Lamborghini rimasti in sospeso e inizia l’assemblaggio finale. Il risultato è una produzione lenta, macchinosa, divisa tra Italia e Germania. Ma alla fine, la M1 riesce a prendere la forma immaginata e disegnata da Giugiaro.
Ufficio Stampa BMWM1: la supercar BMW che l’Italia ha contribuito a creare
Motore posteriore
Se la scocca è italiana, il cuore è totalmente bavarese. Il sei cilindri in linea — quello che passerà alla storia come M88 — deriva dal collaudato M49, utilizzato nelle competizioni. 3.5 litri, 24 valvole, 277 CV nelle versioni stradali e oltre 470 CV in configurazione da gara. Un motore capace di salire di giri con una progressione quasi motociclistica, frutto dell’esperienza BMW in Formula 2. La trazione è rigorosamente posteriore e il cambio manuale a 5 marce ZF. Con meno di 1.300 kg, la M1 raggiunge i 260 km/h e scatta da 0 a 100 km/h in 5,5 secondi. Ma più dei numeri, colpisce il modo in cui li esprimeva: progressiva, stabile, sincera. Una supercar tedesca nel comportamento, italiana nella silhouette.
La vetrina del Motorsport
Per ottenere l’omologazione servono 400 esemplari. Perciò serve anche renderla visibile al grande pubblico, oltre a offrire ai piloti qualcosa di davvero speciale. Così nasce la BMW M1 Procar Series, una delle competizioni più spettacolari mai organizzate. Le gare si tengono come evento di supporto ai Gran Premi europei di Formula 1 nel campionato 1979/80, e vedono al via piloti del calibro di Niki Lauda e Nelson Piquet. La formula è semplice: piloti di F1 alla guida di M1 identiche, pronti a darsi battaglia per uno spettacolo puro. Un grande evento per i tifosi e un’occasione perfetta per portare la M1 sotto gli occhi del mondo.
La versione M1 Procar
La Procar non è una M1 semplicemente potenziata. È un’auto completamente diversa, pensata per il paddock e per i circuiti più difficili d’Europa. Il motore M88, liberato dai vincoli stradali, sale ad almeno 470 CV, grazie a nuovi alberi a camme, valvole maggiorate e pistoni forgiati, oltre a una gestione dell’aria completamente rivista. Il peso crolla a 1.020 kg, la velocità massima supera i 310 km/h. Senza turbo, senza aiuti elettronici, solo meccanica pura. La ricetta perfetta per rendere la M1 una vettura amata dal pubblico e desiderata dagli appassionati, oltre che dai piloti stessi che hanno la possibilità di guidarla.
1000 CV per la Gruppo 5
Se la Procar è competitiva, la versione Gruppo 5 diventa estrema. La categoria consente modifiche radicali e i team privati — soprattutto Schnitzer — si sbizzarriscono con carrozzerie in kevlar e un’impronta sull’aslfalto ancora più larga. Ma il vero salto arriva con i due turbocompressori, portando la potenza a 1000 CV. Hans-Joachim Stuck, con una M1 Gruppo 5 da quattro cifre, vince a Nürburgring e Salzburgring. Riuscendo a domare un’auto difficile, pericolosa, ingestibile su strade normali. Ma che rappresenta la forma più estrema del concetto M1.
I successi fuori dalla pista
Nonostante la produzione travagliata, la M1 viene accolta con entusiasmo dagli appassionati, dai collezionisti e dai piloti. Non si tratta una supercar comoda, e neppure una vettura semplice da guidare, e forse è proprio questo il suo fascino. BMW ne costruisce 445 esemplari: 399 stradali e 46 Procar, considerando anche una Art Car realizzata da Andy Warhol, dipinta in soli 28 minuti, oggi considerata una delle più iconiche della serie.
Ne appena uscita era un’auto da desiderare, oggi è un pezzo da museo, uno dei modelli più ricercati dai collezionisti e uno dei simboli della collaborazione tra Germania e Italia.
Un progetto irripetibile
La BMW M1 è stata un progetto tormentato, costoso, pieno di ostacoli. Ma proprio per questo è diventata una leggenda. Senza di lei, non avremmo le M3, le M5, le M2 o le M4 come le conosciamo oggi. Era il laboratorio da cui è nata la filosofia della divisione Motorsport. Un’auto tedesca costruita a metà in Italia, con un motore che emozionava e un design capace di invecchiare con una grazia che appartiene solo alle icone dell’automobilismo. Unica come il suo nome, che BMW non ha mai più osato riutilizzare.