Un po’ come ha fatto Bogotà, una città caotica e pericolosa, che da vent’anni combatte contro inquinamento e criminalità grazie alle restrizioni del traffico. E che per prima ha ottenuto e misurato grandi miglioramenti su tutti i suddetti aspetti grazie alla circolazione delle persone in bici. La segreteria del sindaco ha comunicato ufficialmente che «come mezzo individuale, la bicicletta rappresenta una delle alternative più igieniche alla prevenzione del virus».
E se città come la nostra Firenze dichiarano un aumento di afflusso al bike sharing cittadino (altre, come Barcellona, purtroppo lo bloccano per evitare una regolare ma costosa sanificazione dei mezzi), metropoli come New York hanno calcolato sui soli ponti dell’East River un aumento del traffico ciclistico del 50% in modo spontaneo, ancora prima di passare al capitolo policy. La chiusura delle officine e la scarsa comprensione dell’uso professionale.
La chiusura delle officine e la scarsa comprensione dell’uso professionale
Restando nella grande mela, il sindaco De Blasio, ha preso atto di un boom della bicicletta, misurato con un aumento di traffico ciclistico complessivo del 67% rispetto allo scorso anno, confermato purtroppo anche da un 43% di incremento di incidenti a due ruote nella seconda settimana di marzo, che ha teso a scendere dopo l’inizio del lockdown. De Blasio, pur avendo dichiarato personalmente di aver paura e non essere in grado di pedalare nella sua città, ha comunque ritenuto di dichiarare che i negozi e i riparatori di biciclette dovessero essere esenti dalla chiusura per continuare a offrire un servizio utile alla popolazione.
In Italia la situazione è assai più complicata. In via generale, nel penultimo e nell’ultimo decreto anti Covid, sfogliando i codici ATECO, mancava il famigerato 95.29.02, che racchiude le officine per biciclette. Per l’ennesima volta, insomma, nonostante un parere positivo di Confindustria Ancma all’uso della bici, sempre come mezzo efficace nella prevenzione del contagio, i meccanici e riparatori di biciclette non sono stati tuttavia ritenuti attori di attività economiche “indispensabili” e quindi meritevoli di inclusione nella lista degli esoneri della maxi chiusura. Si possono comprare le sigarette, insomma, ma se andando a lavorare si avesse bisogno di riparare una gomma o sostituire una catena non sarebbe possibile. Qualcosa di fortemente anomalo ma non imprevedibile, perché anche dagli addetti ai lavori la bicicletta è vista, quando va bene, come un mezzo per andare al lavoro, già meno probabile a scuola, mentre la strada che la trasforma in un vero e proprio mezzo per effettuare il lavoro è assai poco percorsa in Italia: anche in questo caso ci si ricorda al massimo dei corrieri (i corridori professionisti sono stati esclusi a priori già dalla FCI). Mancano dall’immaginario e dalla pratica insomma tante professioni, in particolare artigianali, che possono essere valorizzate dalla bicicletta e dalla sua capillarità, velocità ed economicità di trasporto. Però per i meccanici più motivati e impegnati nella mobilità utilitaristica e non concentrati “solo” sui ciclosportivi, resta uno spiraglio. «Il decreto non dice che tutti gli esclusi dalle attività dell’allegato 1 del decreto stesso devono stare chiusi, indicando che restano sempre consentite anche quelle che sono “attività funzionali”» esordisce il dott. Daniele Pantini, (professione: commercialista, passione: bicicletta), presidente dell’Associazione EPMC Esperti Promotori Mobilità Ciclistica e presidente di una Fiab romana. Pantini ha studiato la legge e ne ha tratto le conclusioni: «Attività funzionali fa riferimento alla filiera di attività a cui è consentito restare aperte e in queste ci possono rientrare senza problema anche le attività di riparazione delle biciclette dei rider, ciclofattorini e tutti coloro che le bicicletta devono usarla per motivi di lavoro poiché soggetti appartenenti alle attività dell’allegato 1. Chi ritiene di dover stare aperto per offrire il suo servizio può richiedere il permesso attraverso il Modello di Comunicazione ai sensi dell’art. 1 comma 1 lettera d) del D.P.C.M. 22 marzo 2020. (Attività funzionali ad assicurare la continuità delle filiere dei settori di cui all’allegato 1 del medesimo D.P.C.M., dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla legge n. 146/1990). L’attività di riparazione cicli può essere vista a supporto del settore postale ma anche di quello della distribuzione, o anche solo come riparazione del mezzo per permettere ai lavoratori “obbligati” a recarsi sul posto di lavoro. Il modulo e la procedura da seguire si trovano nei siti ufficiali delle rispettive prefetture (ad esempio qui).
La chiusura di ciclabili e piste ciclopedonali
Da Nord a Sud, è facile trovare recentemente nelle cronache locali notizie di chiusure di tratti di piste ciclabili o ciclopedonali. Spesso sono in zone turistiche o in tratti che costeggiano fiumi e laghi, anche in Svizzera. Quanto sia opportuno o meno limitare la libertà di praticare un’attività fisica all’aria aperta in questo momento non è in discussione. Anche se l’Oms ricorda con regolarità la necessità di svolgere attività motoria anche in questo periodo a scopo preventivo ma anche per evitare il peggioramento di patologie già in essere.