Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, è appena arrivato nell’auditorium ‘Leggio’ a Partanna per la cerimonia dell’anniversario dei 50 anni del terremoto che colpì il Belice nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968. Mattarella è stato accolto dall’inno nazionale. In sala autorità istituzionali, civili e militari e tanti amministratori dei comuni della valle. Prima di entrare nell’auditorium, Mattarella è stato salutato dalla folla che si trova all’esterno dell’edificio e che ha urlato ‘presidente… presidente’. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, è appena arrivato nell’auditorium ‘Leggio’ a Partanna per la cerimonia dell’anniversario dei 50 anni del terremoto che colpì il Belice nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968. Mattarella è stato accolto dall’inno nazionale. In sala autorità istituzionali, civili e militari e tanti amministratori dei comuni della valle. Prima di entrare nell’auditorium, Mattarella è stato salutato dalla folla che si trova all’esterno dell’edificio e che ha urlato ‘presidente… presidente’. La capacità “dell’intero Paese di reagire alle tante calamità – afferma Mattarella – hanno rappresentato il momento della verità, della misura della coesione nazionale, del riconoscersi in un comune destino”.
Poi Mattarella ha rivolto un pensiero ai sindaci: “Nei giorni scorsi – ha proseguito – alcuni sindaci del Belìce hanno detto ‘stiamo costruendo il futuro’. Questa affermazione non è soltanto un messaggio di rassicurazione ma manifesta orgoglio protagonista, determinazione per lo sviluppo della vita di queste comunità, convinzione di poter superare, con il necessario sostegno della comunità nazionale, le difficoltà che rimangono nel presente. Quelle parole manifestano ragionevole, fondata fiducia nel futuro. E’ un messaggio che tengo a condividere con tutti voi”. Per Mattarella “questa zona ha sollecitato l’intero Paese, per più aspetti a rinnovarsi. In prima fila, allora come oggi, gli istituti dello Stato e della Regione, ma, sul terreno, soprattutto i sindaci e le amministrazioni locali, le parrocchie, i volontari di tante realtà. Il nostro ringraziamento, rinnovato, va a quanti ebbero parte nell’opera dei soccorsi, a quanti avviarono il processo di ripresa”. Poi il ricordo delle vittime: “I vigili del fuoco Giuliano Carturan, Alessio Mauceri, Giovanni Nuccio, Saverio Semprini; il carabiniere Nicolò Cannella”. Mattarella ha ricordato che “la sequenza sismica che seguì a quella notte del 14 gennaio 1968 si protrasse per un intero anno: se possibile, una sofferenza aggiuntiva a quelle delle morti e delle distruzioni”. “Chiunque sia stato pesantemente colpito da un terremoto può testimoniare come le scosse e la catastrofe che provocano – accanto ai lutti e ai danni materiali – lascino tracce irreversibili negli animi – ha sottolineato il Capo dello Stato – La memoria di ciò che è accaduto non si separa più dal vissuto di ciascuno. Non è stato diverso nella Valle del Belìce che qui, oggi, ricorda le sue tante vittime, l’accidentato percorso della ricostruzione, la fatica accompagnata al tormento delle scelte di vita personale e di quelle complessive delle popolazioni colpite. Non è stato facile, non è facile per nessuno”.
Alla cerimonia erano presenti il ministro per la Coesione, Claudio De Vincenti, il sottosegretario Davide Faraone, il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, i prefetti di Trapani e Palermo, il presidente dell’Anci siciliana Leoluca Orlando, gli amministratori dei comuni del Belice, il cardinale Francesco Montenegro, vescovi e autorità ecclesiali. “Se dopo 50 anni gli amministratori del Belice sono costretti ancora ad appellarsi allo Stato per avere fondi mentre in Friuli è da tempo chiusa la ricostruzione post-terremoto – dice Musumeci – significa che qui l’intervento pubblico ha parzialmente fallito”.
Musumeci ha parlato di “ricostruzione lenta e ancora incompleta, di inchieste giudiziarie concluse senza colpevoli, di inefficienza nei controlli delle imprese” e ha ricordato l’azione dell’ex presidente della Regione Piersanti Mattarella assassinato dalla mafia e fratello del Capo dello Stato, “che nel 1978 davanti al Parlamento denunciò il notevole ritardo nella ricostruzione”. Il governatore ha sottolineato che all’epoca del sisma era uno studente di terza media. “Le immagini in bianco e nero della televisione – ha detto Musumeci – ci consegnò paesi ridotti in macerie, pianti, disperazione, superstiti avvolti nelle coperte, soccorritori che scavavano nel fango. Assistemmo impotenti, la morte entrava nelle nostre case”. In mattinata l’assessore ai Beni culturali ha sottoposto a vincolo la “città fantasma” di Poggioreale.
Un riconoscimento è andato alla memoria dei quattro vigili del fuoco Giuliano Carturan, Savio Semprini, Alessio Mauceri e Giovanni Nuccio morti durante le operazioni di soccorso. A consegnarla il superstite Franco Santangelo, all’epoca un bambino estratto dalle macerie proprio dai vigili del fuoco. Il Comandante della Legione Carabinieri Sicilia Riccardo Galletta ha invece ritirato la targa alla memoria dell’appuntato Nicolò Cannella. A consegnarla Antonella Stassi, la prima bambina nata a Partanna dopo il terremoto, che le sorelle maggiori aiutarono a venire al mondo. Un’altra targa alla memoria di don Antonio Riboldi, il parroco di Santa Ninfa che guidò le lotte dei terremotati, è stata consegnata al vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero da uno dei bambini che “don terremoto” portò a Roma dal presidente della Repubblica dell’epoca, Sandro Pertini. Un ultimo riconoscimento a Ivo Soncini, il vigile del fuoco che per primo soccorse ed estrasse dalle macerie Eleonora Di Girolamo, la piccola “cudduredda” che morì alcune giorni dopo il salvataggio ma assurse a simbolo di quel tragico giorno di cinquanta anni fa. A consegnare la targa è stata Eleonora di Girolamo, la sorella della bambina scomparsa nel ’68 e che ne porta lo stesso nome.
Ad aprire i lavori il sindaco di Partanna Nicola Catania, che ha dedicato un pensiero alle popolazioni di Amatrice e Accumoli: “Il fare memoria di quegli anni di dolore, lotte e sacrifici, ci rende più consapevoli del dramma che stanno vivendo i cittadini di Amatrice ed Accumoli e di tutto il cratere del terremoto che ha devastato l’Italia centrale: a loro il Belice manda oggi un forte e fraterno abbraccio e rinnova l’invito a non mollare e credere nel futuro”.
Poi una rivendicazione: “Oggi e domani – prosegue Catania – il Belice ricorda le vittime e rende omaggio a tutti coloro che in quei giorni di dolore da ogni parte d’Italia vennero a scavare sotto la pioggia e nel fango per darci coraggio e indicarci una via. Tuttavia, signor presidente della Repubblica, i nostri cittadini e noi sindaci nell’interesse di tutto il territorio non possiamo non ricordare allo Stato e al Governo della Repubblica che il Belice è ancora creditore, come ha anche accertato l’ultima Commissione bicamerale sulle questioni della ricostruzione nel 1996, la cui relazione conclusiva dà atto del fallimento dell’intervento dello Stato e dello straordinario ruolo di sindaci e cittadini nel portare avanti con un terzo delle risorse date in altre zone colpite da analogo dramma la ricostruzione di interi Paesi”. Catania ha preso la parola a nome dei sindaci dei 21 Comuni della valle del Belice sconvolti dal sisma di 50 anni fa: “Mentre si fanno avanti con sempre più preoccupante insistenza i venti della disgregazione e dell’odio sociale – ha proseguito – da questa Valle si alza forte il senso dell’unità dello Stato e dell’apertura della società all’accoglienza di tutti coloro che scelgono il nostro Paese come terra in cui realizzare i propri sogni. Ma questo straordinario senso dello Stato ci rende più credibili nel chiedere oggi alle massime autorità della Repubblica la ineludibile e non più rinviabile necessità che le istituzioni onorino il loro debito, che non è solo economico verso questa terra e verso queste popolazioni”.
Poi Catania si è soffermato sul presente: “Oggi – dice – questo territorio, grazie anche a coloro che con enorme volontà e determinazione, hanno scommesso di rimanere ed investire in questa nostra martoriata valle, ha rimodulato l’ossatura portante di una struttura socio-economica e produttiva, i cui contorni sentiamo il dovere di mostrare con profondo orgoglio. Questa terra oggi vuole mostrarsi agli occhi di chi la osserva un insieme di bellezze naturali e paesaggistiche, di eventi culturali di alto spessore, di beni culturali monumentali e architettonici di rara bellezza, innovative reti museali, rinomati percorsi enogastronomici e di una offerta turistica di alta qualità, occorre semplicemente osservarla con occhi raffinati”.
Il “rischio immanente”, ha aggiunto Catania, “è quello di perpetrare azioni che lascino le cose nella trappola di un eterno presente. Noi amministratori di queste comunità, vogliamo quindi fortemente preparare il domani comprendendo la velocità delle cose nuove. La strada percorsa ha evidenziato grosse lacune in tanti progetti non rispettosi del contesto”. La grande scommessa che attende questo vasto pezzo della Sicilia, “è quella di contribuire a valorizzare le nostre risorse, per creare le condizioni affinchè i nostri giovani non continuino ad emigrare. Vogliamo ricostruire la nostra identità proprio sulle nostre ricchezze e bellezze. Vogliamo costruire bellezza”, ha scandito il primo cittadino.
Per far ciò, “si rende a questo punto necessario e non più procrastinabile”, ha proseguito il rappresentante dei sindaci del Belice, “che lo Stato ci permetta di continuare questo percorso virtuoso, creando tutte le condizioni per sanare piaghe ancora aperte dandoci la possibilità di completare la infrastrutturazione mancante, di realizzare le opere di urbanizzazione primaria che ancora tardano ad ultimarsi, di mettere in sicurezza le aree ancora pericolanti e le zone a rischio idrogeologico, più sinteticamente quello che è stato accertato e fotografato in una recentissima visita ispettiva della XIII commissione permanente del Senato della Repubblica votato in una risoluzione”.
E ancora: “Denunciamo, inoltre, la quotidiana difficoltà ad amministrare le nostre comunità in quanto costretti ad operare in termini di servizi e manutenzioni su territori, che per scelta univoca dello Stato, sono stati urbanizzati a dismisura rispetto alla popolazione residente realizzando opere che oggi mostrano i segni dei 50 anni trascorsi. Come se ciò non bastasse, l’aggressione alle risorse dei bilanci comunali a seguito di sentenze e ordinanze emesse dal Giudice, il quale condanna i comuni nel riconoscere al privato cittadino il contributo previsto dalle norme, anche in assenza di specifico trasferimento di finanziamento da parte dello Stato, sta irrimediabilmente portando le nostre amministrazioni verso il sicuro default, amministrazioni che, hanno il solo torto di aver applicato puntuali direttive ministeriali. Riteniamo, che una grande occasione si è persa nel non valutare positivamente l’area del Belice quale area interna sperimentale nella attuale programmazione comunitaria, cosi come non aver creato le condizioni per perimetrare ed individuare il nostro territorio
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