Le auto elettriche domineranno in futuro? Se rispondere è cortesia, chiedere è lecito. Per ogni Tesla (comunque non immune da difficoltà) che, a suon di vendite, impensierisce le Case tradizionali, c’è una Fisker in bancarotta. O una Northvolt, la principale produttrice di batterie completamente rinnovabili, che corre ai ripari.
Per “affrontare il sempre più difficile ambiente macroeconomico”, la compagnia svedese ha annunciato l’avvio di una “revisione strategica”. Paga la domanda delle BEV in continuo calo. Nonostante la politica mondiale cerchi di promuoverle, i guidatori paiono poco convinti.
Le motivazioni rimangono le solite: prezzi troppo alti, poche infrastrutture, ricariche lente. Dei limiti che richiederanno probabilmente anni prima di essere superati in maniera definitiva. Nel frattempo, persino i Paesi più evoluti del Vecchio Continente registrano numeri allarmanti. Ad esempio, la Germania, in crisi nera, con il cancellierato che ha varato negli scorsi giorni un maxi-investimento per rilanciare l’industria locale.
Le risposte obbligate alla crisi
I maligni diranno che le auto elettriche non hanno mai avuto chance di sostituirsi alle termiche nel breve periodo. Senza sfociare in considerazioni così drastiche (e ingiustificate), la transizione ecologica procede a rilento. Lo sanno i conducenti, ma soprattutto lo sanno gli stessi operatori della filiera, costretti ogni volta a reinventarsi. Se già la situazione era abbastanza complicata, nel recente periodo qualcosa sembra essersi inceppato nei meccanismi.
Almeno le aziende scandinave parevano poggiare su solide fondamenta. Si noti il passato, perché una recente decisione segnala i problemi dilaganti persino nella regione. Mentre in Norvegia la quasi totalità delle vetture vendute è elettrica, altrove la situazione invita meno ai facili sorrisi.
Nell’ambito della revisione la gigafactory Northvolt sospenderà l’attività, in attesa di nuove comunicazioni. Inoltre, chiude il sito di Borlänge, acquisito nel 2022. Stando ai piani della dirigenza avrebbe dovuto affiancare il resto delle fabbriche in Svezia. Ci hanno provato, ma, a furia di tirarla, la cinghia si è rotta. Le trattative per la vendita e la dismissione del complesso sono già iniziate. Rischia di andare incontro alla stessa fine il centro di Gdánsk, in Polonia. Qui, però, Northvolt vuole provare ad andare avanti, a patto di trovare dei partner strategici.
Difficili decisioni da prendere
Il programma di ristrutturazione dispone pure delle “difficili decisioni in merito alla dimensione della nostra forza lavoro”, recita il comunicato stampa diramato dall’azienda. “Continuiamo a portare avanti discussioni costruttive con i sindacati, per assicurarci che sia fatto ogni sforzo possibile per ridurli al minimo”, prosegue la nota. In base all’esito dei negoziati, cambierà il numero di addetti a rischio licenziamento.
“Dobbiamo prendere decisioni difficili per mettere in sicurezza le fondamenta della Northvolt, assicurarci una stabilità finanziaria e rafforzare la nostra performance operativa – ammette dispiaciuto l’amministratore delegato, Peter Carlsson -. Anche in questi tempi così difficili, non c’è alcun dubbio che la transizione globale verso l’elettrico, così come le prospettive per i produttori di batterie, tra cui Northvolt – continui con forza”. La situazione andrà tenuta monitorata nell’arco dei prossimi mesi, quando verranno forniti maggiori dettagli. Fino ad allora, le sorti della manodopera sono appese a un filo.