Negli ultimi anni gli autovelox sono diventati il centro di un confronto tra Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Comuni, giudici e automobilisti sulla questione dell’omologazione. Dalla risposta dipende la solidità di migliaia di verbali per eccesso di velocità con la giurisprudenza che parla chiaro: approvazione e omologazione non sono la stessa cosa e se manca la seconda la multa può finire nel cestino.
Cosa prevede il Codice della Strada
Il punto di partenza è l’articolo 45 del Codice della Strada, che stabilisce che i dispositivi di controllo della circolazione, compresi quelli per la misurazione della velocità, devono essere sottoposti a una procedura di omologazione o approvazione secondo quanto previsto dal regolamento di esecuzione.
Quando si parla di velocità entra in gioco anche l’articolo 142 che è ancora più netto: per verificare il rispetto dei limiti sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature “debitamente omologate”. La norma non usa un linguaggio neutro, non parla di strumenti genericamente approvati, ma pretende una omologazione in senso tecnico cioè un percorso di verifica e autorizzazione che non è lasciato alla libera interpretazione del singolo ufficio ministeriale.
Il Regolamento di esecuzione dettaglia questa architettura: l’articolo 192 e gli allegati tecnici disciplinano le prove, i controlli e le condizioni per cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti può rilasciare un decreto di omologazione o in casi particolari di approvazione. Questi atti indicano il modello, il costruttore, le condizioni di impiego, la modalità di installazione e la segnaletica da usare in combinazione con l’apparecchio. Se il dispositivo in strada si discosta dal prototipo descritto nel decreto, il rischio è che l’intero impianto probatorio scricchioli.
Omologazione, approvazione e taratura
Per anni il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha sostenuto, anche con la circolare 8176 dell’11 novembre 2020, che tra omologazione e approvazione esistesse una sostanziale equivalenza, al punto da considerare entrambe idonee a legittimare l’uso degli autovelox ai fini sanzionatori.
La Corte di Cassazione ha iniziato però a smontare questa impostazione. Con l’ordinanza 10505 del 18 aprile 2024, la Seconda Sezione civile ha scritto nero su bianco che i procedimenti di approvazione e omologazione sono “distinti per natura e finalità”, chiarendo che l’omologazione prevede prove tecniche puntuali e autorizza la riproduzione in serie di un prototipo testato in laboratorio, mentre l’approvazione si limita a un vaglio meno strutturato da parte del Ministero.
La taratura è ancora un’altra cosa: è la verifica periodica della precisione dello strumento nel tempo, un po’ come il controllo di un misuratore fiscale o di una bilancia. È indispensabile per evitare derive di misurazione ma non sostituisce né crea l’omologazione che il Codice pretende. Secondo la giurisprudenza si può avere un autovelox tarato ma se alla base manca un decreto di omologazione valido, la catena di legittimità resta monca.
La linea della Cassazione e la reazione del Ministero
La svolta arriva proprio con l’ordinanza 10505 del 2024 della Corte di Cassazione, che diventa la pietra di paragone per tutti i ricorsi successivi. In quella decisione, la Suprema Corte afferma che per gli autovelox è richiesta la omologazione e che l’uso di dispositivi solo approvati è in contrasto con l’articolo 142 del Codice della Strada. Di fatto, la legittimità dell’accertamento viene messa in discussione se l’amministrazione non prova l’esistenza di un valido titolo di omologazione.
Nel 2025, la stessa linea viene ribadita nella ordinanza 12924 del 2025, che riguarda un caso di 13 verbali elevati con una apparecchiatura risultata solo approvata ma non omologata: qui la Cassazione conferma che l’assenza di omologazione rende l’accertamento illegittimo perché la legge richiede apparecchi “debitamente omologati”, non genericamente autorizzati.
L’urto tra giurisprudenza e prassi amministrativa è stato forte. Per anni le amministrazioni hanno installato e usato autovelox confidando sulla circolare 8176 del 2020, che dichiarava equivalenti, in pratica, omologazione e approvazione. Ora quella lettura è sotto tiro e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporto è intervenuto su due fronti: quello delle regole tecniche e quello della trasparenza.
Sul piano tecnico, una serie di decreti dirigenziali ha iniziato a mettere ordine. Quello del 18 agosto 2025 ha istituito una piattaforma nazionale per il censimento degli autovelox, gestita dal Centro elaborazione dati della Motorizzazione civile finalizzato a raccogliere tutte le informazioni sui dispositivi in uso: marca, modello, tipo di misurazione, ente proprietario, collocazione e titolo abilitativo.
Con il decreto dirigenziale 367 del 29 settembre 2025, la piattaforma è diventata operativa e sono state fissate le modalità con cui Comuni, Province, concessionari e altri enti devono comunicare i dati dei dispositivi. Il Portale dell’Automobilista ha pubblicato le istruzioni operative e ha aperto una sezione dedicata al censimento che nel tempo diventerà il punto di riferimento pubblico per sapere quali strumenti sono dichiarati e a che titolo.
Il successivo decreto dirigenziale 430 del 28 ottobre 2025 ha aggiunto le istruzioni per i sistemi di rilevamento della velocità media (i tutor) e chiarito come censire gli impianti privi di numero di matricola e imponendo l’inserimento di dati aggiuntivi per garantire comunque la tracciabilità.
Come leggere il verbale, la prima verifica è sulla carta
Per capire se l’autovelox è in regola, la prima cosa da fare è smettere di guardare solo la cifra della sanzione e cominciare a leggere il verbale. Nella parte descrittiva, il comando deve indicare marca, modello e la matricola dello strumento, oltre al riferimento al decreto ministeriale che ne attesta l’omologazione o l’approvazione. Se c’è scritto soltanto “apparecchio omologato” senza altri elementi, oppure c’è il richiamo a un semplice decreto di approvazione, il terreno è già scivoloso.
La giurisprudenza non richiede che il verbale riporti tutta la scheda tecnica del dispositivo, ma esige che ci sia un minimo di tracciabilità: bisogna capire quale apparecchio è stato usato, a quali norme si aggancia, quali atti amministrativi lo sorreggono. Se il verbale è troppo generico, questo apre spazio per chiedere in modo formale chiarimenti e documenti integrativi perché l’onere di dimostrare la regolarità dell’autovelox non è dell’automobilista ma dell’amministrazione che ha emesso la multa.
Dove cercare le prove
Una volta raccolte le informazioni dal verbale, il passo successivo è verificare se quelle indicazioni corrispondono a qualcosa di concreto. Sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono pubblicati i decreti di omologazione e approvazione dei misuratori di velocità: conoscendo marca e modello è possibile trovare il decreto dirigenziale di riferimento e leggere se si tratta di omologazione vera o di semplice approvazione, con quale anno, con quali condizioni di utilizzo.
Il nuovo censimento ospitato dal Portale dell’Automobilista aggiunge un tassello in più: negli avvisi pubblicati viene spiegato che gli enti devono registrare ogni dispositivo, e che l’accesso alla piattaforma passa attraverso portali istituzionali. Non significa che il cittadino può entrare e scaricare la scheda tecnica del singolo autovelox, ma che esiste una banca dati organizzata su cui fare leva nelle richieste formali all’amministrazione.
Lo strumento più incisivo resta l’accesso agli atti. Significa inviare una richiesta al Comune o al comando che ha elevato la multa chiedendo copia del decreto di omologazione riferito al modello utilizzato, dei certificati di taratura periodica, dell’eventuale certificato di conformità tra l’apparecchio installato e il prototipo omologato.
Se l’amministrazione non risponde, risponde in modo vago o non è in grado di esibire un decreto di omologazione compatibile con il dispositivo usato, si prospetta un argomento forte in sede di ricorso.