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Astronomia e informatica insieme per studiare il cosmo

Ott 31, 2016

Immaginate una macchina capace di produrre, ogni notte, qualcosa come 15 terabyte di dati. In dieci anni di osservazioni, parliamo di qualcosa come 60 petabyte di soli dati grezzi e circa 40 miliardi di oggetti osservati.

Questi numeri, così mostruosi da sembrare frutto di fantascienza, sono in realtà assolutamente reali. La macchina in questione è LSST (Large Synoptic Survey Telescope), il primo dei telescopi di nuova generazione, che vedrà la prima luce nel 2019.

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Una quantità di dati che nessuno sarà mai in grado di analizzare direttamente e che occorre gestire. Perché al loro interno può nascondersi l’ignoto, la scoperta del secolo, le risposte a tanti interrogativi ancora insoluti. È questo uno dei tanti motivi per cui è nata l’Astroinformatica.

Negli ultimi ventanni la mole di dati e di osservazioni a disposizione dei ricercatori è cresciuta in maniera esponenziale, mutando radicalmente la ricerca in campo astrofisico, grazie all’impiego dei CCD e alle survey digitali. La situazione è destinata a evolversi in maniera altrettanto rapida nei prossimi anni, quando strumenti come il già citato LSST, SKA (Square Kilometer Array, destinato a diventare il più grande radiotelescopio al mondo, con una superficie di oltre un chilometro quadrato), E-ELT (European Extremely Large Telescope, un telescopio da 39 metri di diametro) e molti altri, diverranno disponibili, catapultando l’Astronomia nell’era dei Big Data.

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George Djorgovski e Giuseppe Longo, due tra i massimi esperti del settore

Si tratta di una valanga di dati pronta a travolgerci, per la quale si è reso necessario ripensare completamente al modo di fare Astrofisica, in una maniera che è oramai imprescindibile dall’applicazione delle più avanzate tecnologie informatiche, ed è proprio per questo motivo che si è cominciato ad utilizzare il termine Astroinformatica.

È questo uno dei principali argomenti di cui si è discusso nella conferenza Astroinformatics 2016, svoltasi dal 19 al 24 ottobre a Sorrento, che coinvolgendo i massimi esperti del settore, è stato luogo di confronto e di dibattito sui metodi e le tecnologie cui spetta il compito di fornire soluzioni ai problemi succitati.

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LSST telescope

Per la prima volta il “collo di bottiglia” non sarà la quantità, o meglio la scarsità di dati a disposizione, ma la nostra capacità di analizzarli e di estrarne informazioni utili. Parliamo infatti di cifre che semplicemente non vanno di pari passo con le tecnologie ad oggi utilizzate e che non consentirebbero tecnicamente, in molti casi, il loro utilizzo o anche solo la loro archiviazione per intero. Occorrerà pertanto, in maniera del tutto automatizzata, pre-processare e snellire tali dati evitando di perdere informazioni essenziali, gettando alle ortiche ciò che invece potrebbe rivelarsi utile.

Questa nuova generazione di telescopi è stata pensata infatti per dare una risposta ai quesiti fondamentali dell’Astrofisica; ne cito alcuni quali la materia e l’energia oscura, la ricerca di pianeti extrasolari di tipo terrestre, le onde gravitazionali, la struttura o la stessa origine del cosmo.

Come analizzare quindi i dati raccolti? Uno dei temi centrali di Astroinformatics 2016 ha riguardato appunto l’applicazione di tecnologie di deep learning e reti neurali per far fronte a questa impellenza.

Tali algoritmi di intelligenza artificiale, modellati per simulare la capacità di apprendimento del cervello umano, sono sempre più di frequente utilizzati in innumerevoli campi, anche nella vita quotidiana. Essi sembrano rappresentare la risposta alla risoluzione di problemi complessi e alla necessità di esplorare spazi multidimensionali, in cui potrebbero celarsi relazioni e leggi ad oggi sconosciuti.

È incalzante oramai l’implementazione di nuove tecniche di visualizzazione per una tale complessità di dati, tali da consentirne un’esplorazione nella loro interezza, in maniera rapida ed efficace. A tal fine un notevole aiuto può venire dalle tecnologie di visualizzazione 3D dei dati, utilizzando come supporto visori quali Oculus Rift, HoloLens o semplicemente Google Cardboard applicabile a un comune smartphone. Così i ricercatori potranno immergersi letteralmente in uno spazio tridimensionale di dati, all’interno del quale cercare relazioni e trend altrimenti impossibili da individuare.

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LSST dome

La potenza di calcolo necessaria all’addestramento della rete nelle tecnologie di deep learning, richiede l’utilizzo di supercomputer e GPU computing per processare la grande mole di dati e sostenerne la complessità dell’architettura. Basti pensare che la stessa operazione compiuta da una rete neurale su un Core i7 dura intorno ai 45 minuti, mentre su di una Titan X solo pochi secondi. Un po’ la differenza che passa tra lo spostarsi a cavallo o in aereo.

Per questo si è ampiamente discusso su come formare le nuove generazioni di ricercatori. Nel prossimo futuro infatti si dovrà prevedere un percorso di studio in Astrofisica che includa la conoscenza di tecnologie informatiche e statistiche tali da agevolare i futuri scienziati nel confrontarsi con quei temi destinati a diventare pane quotidiano.

Con una rivoluzione paragonabile per importanza a quella copernicana o all’avvento della moderna Astrofisica con la spettroscopia, il futuro è ormai alle porte. Tocca a noi farci trovare pronti!

Antonio D’Isanto è dottorando in astronomia presso l’Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. La sua attività di ricerca si basa sulla cosiddetta astroinformatica, ovvero l’applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si occupa inoltre di reti neurali, deep learning e tecnologie di intelligenza artificiale ed ha un forte interesse per la divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Siamo felici di annunciarvi che collabora con Tom’s Hardware per la produzione di contenuti scientifici.

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