È all’asta. Ed è quasi un privilegio che un oggetto del genere, più reliquia che pezzo di eccellenza meccanica, finisca di nuovo sotto il martelletto di Mecum Auctions. La Ferrari 250 GTO, numero di Chassis 3729GT, Bianco Speciale, l’unica GTO mai uscita da Maranello vestita di bianco, torna oggi a reclamare un nuovo capitolo nella sua carriera. Non parliamo di un nuovo proprietario, più di un custode che la sappia conservare, perché siamo al cospetto di un bene unico al mondo.
Il perché del “vestito bianco”
Il bianco non fu un capriccio estetico, ma una scelta consapevole per esprimere al meglio i propri gusti. John Coombs la volle così, diversa per definizione, in un mondo in cui la differenza era un peccato mortale. Eppure, era proprio quello il punto: rendere ancora più unica la vettura più speciale del pianeta. Tra le 36 GTO prodotte, questa è la sola a essersi concessa il privilegio dell’eccezione. E già questo sarebbe sufficiente per scrivere un romanzo.
Ma la 250 GTO bianca non è un’auto da salotto. Un tempo è stata una guerriera, una macchina che porta addosso cicatrici vere. È stata mantenuta, riparata, rifinita, ma mai restaurata. Il che significa una sola cosa: il passato di questa GTO è ancora vivo. Respira ancora il vento delle gare, conserva ancora il profumo degli anni in cui il motore Colombo V12 non era un cimelio, ma un’arma per vincere le battaglie calpestando con veemenza i cordoli nei circuiti del mondo.
Una storia gagliarda
Il suo palmarès sembra scritto per impressionare. 1962, Brands Hatch, debutto nel Peco Trophy: Roy Salvadori la lancia nella mischia e lei risponde con un secondo posto che sa di consacrazione immediata. Due settimane dopo, a Goodwood, Graham Hill la porta ancora seconda e firma un frammento del titolo mondiale GT per Ferrari. Era chiaro: il bianco poteva viaggiare forte come il rosso. Poi arrivano i capitoli del ’63, l’anno della maturità agonistica. Mike MacDowel la guida al secondo posto nella Whitsun Trophy. Mike Salmon la porta a Mallory Park per un sesto posto infuocato da un duello contro la Jaguar di Sutcliffe. Ma il giorno che la “Bianco Speciale” si prende di diritto il suo posto nella storia è il 3 agosto, ancora a Brands Hatch: Jack Sears la porta alla prima vittoria di classe GT. È il momento in cui smette di essere “quella bianca” e diventa un simbolo.
C’è poi la pagina più romantica, quella del Tourist Trophy ’63. Mike Parkes sembra destinato alla gloria, corre da protagonista, detta il ritmo, poi, Graham Hill lo supera a pochi metri dal traguardo. Il distacco? Zero virgola quattro secondi. In quel soffio c’è l’intera epica di questa GTO: sempre in scia alla leggenda, sempre abbastanza vicina da toccarla. L’ultimo lampo internazionale arriva nel ’64, ancora a Goodwood, con Richie Ginther. La Bianco Speciale combatte contro le nuove Shelby Cobra Daytona, quelle che appresentavano il futuro. Perde terreno, sì, ma non il suo fascino: lei rimane la signora del passato che non vuole cedere alla modernità.
Oggi è la protagonista di Mecum
Oggi non la si vede più danzare in pista, ma la si incontra in un salone d’asta. È qui che Mecum la ripresenta al mondo. Non con toni solenni, ma con il silenzio reverenziale che si destina agli oggetti sacri. La Ferrari 250 GTO “Bianco Speciale” è pronta a cambiare mani, ma la sua storia non muta. Chi la comprerà non porterà a casa un’auto. Porterà via un racconto. Una voce. Un’ombra bianca che, sessant’anni dopo aver esordito tra i cordoli inglesi, continua a correre dove le auto normali non possono arrivare: nella memoria.