“Non siamo scafisti, siamo volontari”. Poche parole, una risposta secca alle accuse del ministro Salvini. Arturo Centore, il comandante della Sea Watch ora indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dopo essere riuscito a portare a terra i 65 migranti soccorsi la scorsa settimana a 30 miglia dalle coste libiche, è un duro. Sa bene cosa significa ricerca e soccorso, sa che un soccorso si deve ritenere concluso solo quando i naufraghi sono a terra in un porto sicuro.
La sua carriera da marinaio l’ha cominciata vent’anni fa proprio sulle unità Sar ( ricerca e soccorso) della Guardia costiera italiana, lavorando fianco a fianco con quegli ufficiali ai quali pochi giorni fa ha chiesto l’autorizzazione a sbarcare in un porto sicuro in Italia. Era il 1996 quando Centore, come racconta lui stesso spiegando i suoi trascorsi professionali ” ha servito l’Italia” per un anno su una nave della Guardia costiera.
Poi il passaggio alle navi commerciali e l’impiego a bordo delle grandi navi della Grimaldi lines sulle rotte di lunga percorrenza del Nord America, Africa e sud America prima di scegliere di guidare l’equipaggio della Sea Watch 3.
E’ stato lui a sollecitare una rapida soluzione dell’ultimo contestato soccorso, prima decidendo di far rotta verso Lampedusa, “la rotta più vicina e meno vessatoria” dopo aver ricevuto l’intimazione delle motovedette libiche a lasciare l’area Sar e poi domenica, dopo 24 ore di stazionamento davanti al porto, a comunicare l’intenzione di entrare in banchina se entro le 21 non si fosse trovata una soluzione. “Le persone a bordo sono in condizione di emergenza – la sua ultima comunicazione che ha spinto ad una soluzione veloce – e alcuni minacciando di gettarsi in mare o di fare gesti di autolesionismo”.