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Appalti Expo, la procura generale toglie l’inchiesta ai pm: “No all’archiviazione”

Nov 11, 2016

Sembrava destinata a chiudersi con un’archiviazione, invece l’inchiesta sulle presunte irregolarità sull’appalto della “Piastra dei servizi” di Expo, non solo resta aperta ma finisce nelle mani della procura generale. Dopo che il gip Andrea Ghinetti, nei giorni scorsi, si era opposto alla richiesta della procura che lo scorso febbraio aveva chiesto l’archiviazione, ora il fascicolo per corruzione e turbativa d’asta che riguarda i lavori di preparazione dell’area sulla quale sarebbero sorti i padiglioni dell’Esposizione, la gara più rilevante da 149 milioni di euro, è stata sottratta ai pm ed è subentrata la Procura generale che l’ha avocata a sé. Si tratta dell’indagine al centro scontro Bruti-Robledo, cinque gli ex manager indagati.

Ieri alla vigilia dell’udienza nella quale il gip Ghinetti avrebbe dovuto esprimersi sulla richiesta di archiviazione, la procura generale guidata da Roberto Alfonso ha disposto infatti l’avocazione del fascicolo, togliendolo alla procura della Repubblica e sostituendosi stamattina ai tre pm Filippini-Pelicano-Polizzi per chiedere la revoca della loro richiesta di archiviazione. Dalla nomina dei commissari nella fase pre-gara sino all’esecuzione del contratto: attraversano tutta la filiera dell’appalto per la Piastra di Expo 2015 (272 milioni di base d’asta) le questioni che, a detta della procura generale, non sono chiare e non sono state approfondite a sufficienza per richiedere l’archiviazione del fascicolo.

L’udienza di oggi era stata fissata dal giudice delle indagini preliminari che a questo punto potrebbe chiedere, verosimilmente, nuove indagini. L’inchiesta del pm Paolo Filippini riguarda il più importante tra gli appalti dell’Esposizione universale, una gara che aveva portato all’iscrizione nel registro degli indagati di cinque persone: l’ex manager di Expo, Angelo Paris; l’ex responsabile del Padiglione Italia, Antonio Acerbo; l’ex responsabile di Mantovani Costruzioni, che si era aggiudicata i lavori, Piergiorgio Baita; gli imprenditori, padre e figlio, Erasmo e Ottaviano Cinque. Le accuse erano di turbativa d’asta e corruzione per presunte irregolarità nell’assegnazione, nel 2012, della gara, che Mantovani conquistò con un ribasso record del 41,80 per cento.

Secondo l’indagine, l’assegnazione dell’appalto della piastra fu condizionato dalla necessità di arrivare, comunque, a completare i lavori in tempo utile per l’inzio di Expo, che partiva il primo maggio 2015. Per questo, secondo gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza, non tutte le procedure vennero rispettate. L’appalto doveva essere comunque assegnato. Anche a costo di non svolgere, scrive la Gdf, la necessaria “verifica di congruità” nei confronti dell’impresa vincitrice, Mantovani, determinando “un contesto di evidente illegalità”.

È nel luglio del 2012 che il consorzio di imprese capeggiato da Mantovani – impegnata anche nella costruzione del Mose di Venezia, e non ancora coinvolta nell’inchiesta della procura di Venezia – vince l’appalto. Di fronte un ribasso del 41,8%, “in condizioni normali, la stazione appaltante avrebbe potuto, e probabilmente dovuto – scrive sempre la Gdf – svolgere una verifica sulla congruità del prezzo per accertare la fattibilità dell’intervento nel rispetto delle condizioni proposte. Essendo consapevole che il prezzo offerto dall’appaltatore (149milioni), fosse quanto meno al limite della congruità”.

La stazione appaltante Expo e la direzione lavori (Infrastrutture Lombarde) “hanno invece scelto di non svolgere tale verifica, ma di aggiudicare comunque nel più breve tempo possibile l’opera strategicamente più importante per la realizzazione di Expo – scrivono gli investigatori – in ciò condizionati dall’incomprimibile ritardo che ostacolava gravemente il completamento del sito nei tempi previsti”. Dopo aver vinto l’appalto, Mantovani apportò numerose varianti al progetto inziale così da poter recuperare una parte degli incassi a cui

aveva rinunciato. Un ribasso che spiazzò i concorrenti di Impregilo, che pensavano di ottenere i lavori, e i loro referenti politici. Come l’allora presidente della Regione, Roberto Formigoni, che criticò pubblicamente l’esito della gara. Per il dipartimento anti-corruzione, guidato da Giulia Perrotti, però l’assegnazione dell’appalto, pur in mancanza di tutte le verifiche sul prezzo, non fu viziato da elementi tali da dover affrontare il processo penale.

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