AGI – La crisi del grano e più in generale dei cereali, il rincaro dei prezzi delle materie prime generati dalla guerra in Ucraina, i cambiamenti climatici e le speculazioni finanziarie? C’è anche chi le coglie come opportunità. Per Antimo Caputo, alla guida di una impresa familiare che esiste dal 1924 e a Napoli lavora il grano per produrre farine, questa è l’occasione per iniziare a costruire una agricoltura, non solo italiana, ma europea, “economicamente sostenibile, oltre che ambientalmente”.
Un prezzo maggiore riconosciuto a chi coltiva grano o per altri prodotti della terra “può stimolare a riprendere a coltivare – osserva con l’AGI – dato che in Italia ci sono 200mila ettari a riposo da decenni“. Caputo sette anni fa ha cominciato a costruire la sua filiera di grano duro “nostrum”, come lo definisce, 100% italiano, sottoscrivendo patti con agricoltori del Casertano e del Napoletano, e oggi la sua produzione di farina 100% italiana da questo grano si è attestata intorno ai 150 mila quintali.
“Questo progetto ha dimostrato di essere concreto – spiega – abbiamo dato un riferimento agli agricoltori, fornendo lo stesso seme, gli stessi mezzi e riconoscendo la stessa remunerazione e un premi per la qualità. L’esplosione del prezzo del grano è anche dovuta al fatto che prima era troppo basso”.
Un progetto che ha destato interesse oltre la Campania, tanto che a oggi quell’accordo è stato stretto anche con agricoltori del basso Lazio, della Puglia, della Basilicata e del Molise. “L’obiettivo non era l’autosufficienza – esplicita ancora Caputo – e nemmeno in Italia si può pensare in termini di autosufficienza. Ma bisogna recuperare quelle centinaia di migliaia di ettari incolti e magari ‘prestati’ per ospitare solare o eolico. L’economia green non è questa, è fare cultura anche agricola”.
All’origine della crisi attuale, per lui, ci sono diversi fattori, al di là del conflitto alle porte dell’Europa: “Non si coltiva, si sono ridotte di molto le riserve, la finanza mondiale amplifica fondamentali non buoni“. Le enormi oscillazioni di prezzo creano problemi anche alle grandi imprese di trasformazione come le sua, ma le piccole “fermano gli impianti, perchè non hanno capacità finanziaria. A lungo termine, scompariranno. Non c’è posto per loro nel mercato”.
Ma, a suo avviso, “i prezzi ora devono rimanere sostenuti, perchè l’agricoltura tra semi, fertilizzanti e gasolio ha avuto aumenti violenti”. Il rischio è che l’anno prossimo, al massimo tra due anni, “il mercato impazzisca perchè le scorte nei depositi sono già al minimo mai toccato e in alcune parti del mondo, tra cui l’Ucraina, non si riesca a seminare e raccogliere vuoi per la guerra vuoi per eventi collegati a cambiamenti climatici“. Anche se è l’Europa, fa notare, il più grande produttore ed esportatore di grano.
“Siamo in un nuovo mondo, in una nuova era economica e il livello dei prezzi di materie prime dall’agricoltura deve rimanere alto – ribadisce Caputo – purtroppo il piccolo in questa dimensione è destinato a sparire perchè è aumentato il tasso interesse, aumentato working capital. Non sono allarmista, ma realista”. La siccità attuale non preoccupa l’imprenditore.
“Non incide sul grano – spiega – anzi ne aumenta la qualità perché è un grano secco, pulito, con un buon livello di proteine. Due mesi fa avrebbe avuto altro effetto”. “In questa crisi c’è grande opportunità. Sono preoccupato per futuro, ma ottimista. Stavamo perdendo di vista i fondamentali dell’agricoltura di un paese. E dovremmo stimolare coltivazioni concentricamente vicine come quelle in Croazia e Bulgaria, importante per riportare gli stock a livello”, la sua ricetta.
E “dobbiamo mantenere prezzo alto del grano, cosi’ come di tutti gli altri prodotti della terra, per avere una agricoltura sostenibile economicamente e poi ambientalmente. Il grano per troppi anni è costato 200 euro a tonnellata, il mais 180 euro. Troppo poco”, conclude Caputo.