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Anche l’Ocse per il sì al referendum: “Migliorerà la governabilità”

Nov 28, 2016

ROMA – Il sì al referendum costituzionale “sarebbe un passo in avanti verso il processo di riforma e migliorerebbe la governance politica ed economica”: il premier Matteo Renzi incassa anche l’appoggio dell’Ocse, dopo quello recentissimo dell’Economist e nelle ultime settimane di diversi leader mondiali, dal presidente Usa Obama alla cancelliera tedesca Merkel. L’Ocse mostra ampio apprezzamento per le politiche del governo, che “sta facendo progressi sulle riforme strutturali, comprese le politiche attive per il mercato del lavoro, la pubblica amministrazione e il sistema scolastico”.

Pil italiano sotto l’1% anche per il 2017. Anche se poi le previsioni del Pil non sono entusiasmanti: la crescita si fermerà allo 0,8% quest’anno per l’Italia, proprio come recentemente affermato dall’Istat, ma mentre in quel caso c’era stato un ridimensionamento, per l’istituto di analisi di Parigi non c’è alcuna variazione rispetto al precedente Economic Outlook. Per l’anno prossimo c’è un leggero ridimensionamento invece: l’Ocse vede il Pil italiano allo 0,9%, lo 0,1% in meno rispetto a settembre, mentre per il 2018 la previsione rimane di una crescita dell’1%. L’Italia, come il resto del mondo, ha il problema di trovare un modo per sfuggire alla “trappola della bassa crescita”. Solo che per il nostro Paese i problemi sono ancora maggiori: sulla ripresa grava il macigno delle sofferenze, che frena la fiducia dei consumatori e anche il ritorno degli investimenti. A questo si aggiungono le tensioni geopolitiche internazionali (le migrazioni sono la principale conseguenza) e la Brexit.

Sì a una maggiore flessibilità. Viste le difficoltà del nostro Paese, e la necessità di spingere gli investimenti, frenati dalle incertezze ma anche dal credito bancario non ancora all’altezza delle richieste per via delle difficoltà del sistema creditizio, l’Ocse suggerisce che la richiesta di maggiore flessibilità da parte del governo italiano alla Ue “è ampiamente appropriata nella misura in cui venga utilizzata per finanziare politiche finanziarie che portino a una crescita più veloce e sostenibile”. Considerato infatti che gli investimenti pubblici sono crollati del 30% dall’inizio della crisi, e che attualmente sono il 2,2% del Pil, il livello più basso in 25 anni, questa è sicuramente una leva da utilizzare per “accelerare la crescita e contribuire a ridurre il debito”. Bene in questa direzione il programma pluriennale voluto dal governo per rendere gli edifici a prova di terremoto e anche gli investimenti per “la decarbonizzazione dell’economia”. Tra gli altri obiettivi prioritari per l’Italia, l’Ocse indica una maggiore efficienza del sistema di tassazione, rendendolo più leggero per i redditi passi, e spostando invece il peso verso il consumo e la proprietà immobiliare; la lotta contro la povertà, la garanzia di una sanità di qualità per i bambini e gli anziani.

La trappola della bassa crescita. Pesano le tensioni geopolitiche, un problema per tutti i Paesi tant’è che il mondo sconta ormai cinque anni di crescita inferiore alle aspettative: gli investimenti privati sono deboli, quelli pubblici hanno rallentato, il commercio globale “è collassato”, ne hanno pagato le conseguenze i posti di lavoro e i salari, che hanno bisogno di politiche di sostegno per permettere a chi li percepisce di mantenere standard di vita accettabili. Le reazioni dei governi non sono all’altezza della situazione: “Un rallentamento nelle ambizioni di politiche strutturali e l’incoerenza hanno rallentato il dinamismo degli affari, intrappolato le risorse in aziende poco produttive, rallentato le istituzioni finanziarie e danneggiato la crescita della produttività”. La risposta giusta, per l’Ocse, è ancora una volta “politiche monetarie e strutturali”.

Approfittare dei tassi bassi. Certo, per molti Paesi c’è l’obiezione dei debiti pubblici elevati, ricorda l’Ocse. E tuttavia “la congiuntura attuale di politica monetaria straordinariamente accomodante con tassi d’interesse molto bassi crea una finestra di opportunità per il varo di iniziative fiscali”. Certo, lasciando il rapporto debito/Pil immutato nel lungo termine. Il target dei governi non dev’essere solo la crescita, ma anche la riduzione della disuguaglianza. Sì dunque agli investimenti in istruzione e ricerca e sviluppo, accanto a quelli per le infrastrutture pubbliche.

No al protezionismo. No invece al protezionismo, che rallenterebbe ulteriormente la crescita mondiale, farebbe crescere i prezzi, impoverirebbe gli attuali standard di vita, e probabilmente indebiterebbe ulteriormente i Paesi già in una situazione difficile. Magari lì per lì potrebbe sembrare che il protezionismo favorisca la tenuta del lavoro, ma peggiorerebbe le prospettive dell’economia e alla lunga anche la stessa occupazione, visto che in molti Paesi dell’Ocse il 25% dei posti di lavoro dipendono dalla domanda estera.

L’area euro. Dopo +1,5% nel 2015 il Pil nell’area dell’euro dovrebbe crescere a +1,7% quest’anno per poi attestarsi a +1,6% nel 2017. Nel 2018 il Pil nella zona euro dovrebbe tornare a +1,7%.

E il resto del mondo. A livello mondiale il Pil, che nel 2015 è cresciuto del 3,1%, dovrebbe scendere a +2,9% quest’anno per poi tornare a salire nel 2017 a +3,3% e nel 2018 a +3,6%. Negli Usa, dopo il +2,6% nel 2015, il Pil, sostiene l’Ocse, dovrebbe scendere a +1,5% quest’anno. Nel 2017 dovrebbe attestarsi a +2,3% e a +3% nel 2018. In Giappone, dopo +0,6% nel 2015, il Pil dovrebbe crescere a +0,8% quest’anno. Nel 2017 dovrebbe attestarsi a +1% mentre nel 2018 dovrebbe registrare una crescita a +0,8%. Dopo +6,9% nel 2015 il Pil in Cina dovrebbe scendere quest’anno a +6,7%. Nel 2017 e nel 2018 dovrebbe attestarsi rispettivamente a +6,4% e a +6,1%.

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